Il castello di Mezzanelli , che sorge in posizione strategica, ha seguito le sorti dei vari dominatori che ne hanno gestito la vita politica; un tempo parte del feudo degli Arnolfi, il castello è stato citato in alcuni documenti del 1115 e 1118 con i quali i conti Ridolfo, Saraceno, Guillelmus, Hugolino, Tebaldo e Bulgarello cedevano parte di Mezzanelli e di altri loro possedimenti all’abate Beraldo di Farfa. Appartenne poi ai conti di Baschi quindi passò in parte sotto il dominio dei duchi Cesi. Situato in posizione ottinale fu più volte assalito da Spoleto e da Todi nel corso delle lotte tra guelfi e ghibellini. Subì distruzioni nel 1447 e nel 1451. Nel 1467 fu restaurato con il concorso di tutti i suoi abitanti che per l’occasione si autotassarono. Nel 1500 circa fu nuovamente assalito dalle truppe del papa Alessandro VI che distrussero la rocca. Quest’ultima, rimane ancora a dominio del borgo, e conserva una vistosa torre in pietra e le mura perimetrali; si può raggiungere con una piacevole passeggiata che sale dal borgo fino alla cima del colle, dove, immersi in un contesto paesaggistico molto suggestivo, appaiono i resti della struttura fortificata. Proprio nella parte più alta del borgo, si trova la chiesa parrocchiale di San Filippo e San Giacomo che conserva un pregevole affresco raffigurante la Madonna del Rosario.
Curiosità: Tra il X e l’XI secolo si diffuse in Europa un fenomeno nuovo e destinato ad avere conseguenze di grande portata: l’incastellamento. L’assenza di un forte potere centrale e le nuove invasioni di Saraceni, Normanni, Ungari, gettarono il vecchio continente in una situazione di profonda insicurezza. I centri abitati furono costretti a ripensare la loro forma e organizzazione, dotandosi di strumenti in grado di rispondere all’impellente necessità di difesa. I borghi furono fortificati e si trasformarono in castelli, da intendersi pertanto non come fortezze militari ma come luoghi dove viveva stabilmente una comunità di persone. L’elemento identificativo di un castello, che generalmente sorgeva in posizione elevata, erano innanzitutto le mura, in grado di raggiungere spessori di 2-3 metri. Alte e possenti, erano concluse alla sommità da camminamenti e dalla caratteristica merlatura che consiste in un’alternanza di pieni e vuoti funzionale ad assicurare la protezione dei soldati dagli attacchi degli arcieri. Le merlature si distinguono in ghibelline o imperiali, quelle che presentano sommità a coda di rondine, e guelfe o papali, quelle a corpi quadrati. Le mura, che oltre ad assicurare la difesa militare generavano un sentimento d’identità e unità collettiva, si arricchivano di possenti torri, la principale delle quali era il cosiddetto mastio. Altro elemento fondamentale di un castello erano i fossati che, circondando le mura, mantenevano il nemico a distanza; potevano essere superati tramite ponti fissi in muratura o ponti levatoi in legno, sollevati in caso di pericolo. La gente viveva all’interno del castello e, nel caso di realtà di particolarmente popolose, la struttura divenne più complessa sino a contemplare chiese e piazze.
Il leccio: (Quercus ilex L.1753) detto anche elce, è una pianta della famiglia delle Fagaceae, diffusa nei paesi del bacino del Mediterraneo.
l leccio è generalmente un albero sempreverde con fusto raramente dritto, singolo o diviso alla base, di altezza fino a 20-25 metri. Può assumere aspetto cespuglioso qualora cresca in ambienti rupestri.
La corteccia è liscia e grigia da giovane, col tempo diventa dura e scura quasi nerastra, finemente screpolata in piccole placche persistenti di forma quasi quadrata.
I giovani rami dell'anno sono pubescenti e grigi, ma dopo poco tempo diventano glabri e grigio- verdastri.
Le gemme sono piccole, tomentose, arrotondate con poche perule.
Il Bosso: genere delle Buxaceae, arbusto cespuglioso sempreverde, ramoso compatto con fusto rami e legno giallastro, pianta moderatamente velenosa, foglie generalmente opposte picciolate o sessili, ellissoidali, coriacee di colore verde più o meno scuro e lucente, fiori monoici piccoli sessili, i frutti sono capsule coriacee con pochi semi oblunghi. Si trova spontaneo in luoghi rocciosi, aridi anche calcarei, in Europa, Asia e Africa.
Corbezzolo: Il corbezzolo (Arbutus unedo L., 1753), detto anche albatro, è un cespuglio o un piccolo albero appartenente alla famiglia delle Ericaceae. I frutti maturano nell'anno successivo rispetto alla fioritura che dà loro origine, in autunno. La pianta si trova quindi a ospitare contemporaneamente fiori e frutti maturi, cosa che la rende particolarmente ornamentale, per la presenza sull'albero di tre vivaci colori: il rosso dei frutti, il bianco dei fiori e il verde delle foglie.
Curiosità: Il poeta Giovanni Pascoli dedicò al corbezzolo una poesia. In essa si fa riferimento al passo dell'Eneide in cui Pallante, ucciso da Turno, era stato adagiato su rami di corbezzolo; il poeta vide nei colori di questa pianta una prefigurazione della bandiera italiana e considerò Pallante il primo martire della causa nazionale.
« O verde albero italico, il tuo maggio
è nella bruma: s'anche tutto muora,
tu il giovanile gonfalon selvaggio
spieghi alla bora »
Nel Risorgimento il corbezzolo, proprio a causa dei colori che assume in autunno, uguali a quelli della bandiera nazionale, era considerato un simbolo del tricolore.
L’Orniello: Fraxinus ornus è una pianta della famiglia delle Oleaceae, (conosciuto come Orniello o Orno e chiamato volgarmente anche frassino da manna o albero della manna nelle zone di produzione della manna) è un albero o arbusto di 4-8 metri di altezza, spesso ridotto a cespuglio,
Ha tronco eretto, leggermente tortuoso, con rami opposti ascendenti con corteccia liscia grigiastra, opaca, gemme rossicce tomentose; la chioma ampia è formata da foglie caduche opposte, imparipennate, con 5-9 segmenti (più spesso 7), di cui i laterali misurano 5-10 cm, si presentano ellittici o lanceolati, brevemente picciolati e larghi un terzo della loro lunghezza. Il segmento centrale, invece, si presenta largo circa la metà della sua lunghezza ed è obovato; la faccia superiore è di un bel colore verde, mentre quella inferiore è più chiara e pelosa lungo le nervature. Le infiorescenze sono a forma di pannocchie, generalmente apicali e ascellari; i fiori generalmente ermafroditi e profumati, con un breve pedicello, possiedono un calice campanulato con quattro lacinie lanceolate e diseguali di colore verde-giallognolo; la corolla ha petali bianchi leggermente sfumati di rosa, lineari, di 5-6 mm di lunghezza. Il frutto è una samara oblunga, cuneata alla base, ampiamente alata all'apice, lunga 2-3 cm e con un unico seme compresso di circa un centimetro.
Il carpino nero: (Ostrya carpinifolia) è un albero della famiglia delle Betulaceae. Il carpino nero ha tronco dritto e chioma raccolta e un po' allungata; le sue foglie sono a forma ovale, allungate e con il bordo seghettato; la nervatura principale è molto evidente. I frutti sono acheni a grappolo di colore bianco/verde. Il Carpino nero, in Italia, si trova nelle fasce medie delle colline in posizioni mediamente soleggiate. La formazione forestale nella quale il Carpino nero risulta nel suo optimum è l'Orno-ostrietum, vale a dire in associazione con l'Orniello (Fraxinus ornus). Tale associazione (di cui l'Orniello e il Carpino sono le specie rappresentative) è tipica della "vegetazione illirica", ben rappresentata in Italia. Ha esigenze idriche superiori a quelle della roverella, predilige i suoli calcarei e marnosi, teme il ristagno idrico, ma sopporta i terreni argillosi.
Il cerro: (Quercus cerris L.) è un albero a foglie caduche appartenente alla famiglia delle Fagaceae. È una specie che tende a sviluppare una chioma sino ad una altezza di 30-35 m. Il cerro ha foglie di colore verde scuro dal margine con profonde lobature. Il tronco ha corteccia grigio-brunastra con profonde solcature rossicce (il felloderma si rende infatti visibile). I frutti sono ghiande di circa 2,5 cm di lunghezza, caratteristiche per il "cappuccio" che le copre parzialmente ricoperto di una sortadi peluria riccioluta, di colore giallino chiaro. La propagazione avviene tramite ghiande la cui maturazione fisiologica si completa in due anni.
La Roverella: (Quercus pubescens, Willd. 1805), è la specie di quercia più diffusa in Italia, tanto che in molte località è chiamata semplicemente quercia. Appartiene alla famiglia delle Fagaceae. Resistente all'aridità, è facilmente riconoscibile d'inverno in quanto mantiene le foglie secche attaccate ai rami a differenza delle altre specie di querce. Il principale carattere diagnostico per identificare la specie è quello di sentire al tatto le foglie o le gemme: sono ricoperte da una fine peluria che si può facilmente apprezzare. Generalmente venivano lasciate delle piante di quercia lungo i confini di proprietà così che è possibile in certi casi ricostruire detti confini esaminando la presenza dei grossi esemplari della specie.