Km 6,5 – Fruibile in auto o bicicletta
L’itinerario che meglio descrive le peculiarità del territorio massetano, comprende l’area meridionale del territorio comunale e si sviluppa, in parte, lungo il vecchio tracciato della Via Flaminia. Ilpercorso inizia dalla Chiesa di Santa Maria in Pantano, situata lungo il tracciato della Via Flaminia, nel luogo dell’antico Vicus Martis Tudertium, (del quale sono emerse numerose testimonianze durante recenti scavi archeologici iniziati nel 2008), divenuta poifulcro religioso nel periodo medioevale, si presenta oggi nella sua veste romanica, realizzata con conci di pietra calcarea rosa e bianca e travertino. Si prosegue poi a destra, salendo per il castello di Montignano, antico feudo degli Arnolfi, che conserva, quasi nella sua interezza, la struttura urbanistica medioevale, oggi in parte occupato da una struttura ricettiva. L’itinerario procede in direzione Villa S. Faustino, dove si trova uno dei centri benedettini della zona: dell'Abbazia di San Faustino, edificata sui ruderi di una villa romana; l’edificio, è oggi di proprietà privata. Le emergenze archeologiche più interessanti di questo tratto della Via Flaminia le troviamo però a conclusione dell’itinerario. Sono raggiungibili seguendo la strada comunale in direzione sud, fino a Massa Martana Scalo, da qui la segnaletica turistica permette di raggiungere i due siti di interesse, percorrendo una suggestiva strada di campagna. Si arriva così ad un luogo di fondamentale importanza storica in Umbria, le Catacombe Cristiane,, unico monumento del genere finora scoperto nella regione. Il cimitero sotterraneo è visitabile su prenotazione. Ultima tappa del percorso sarà il Ponte Fonnaia, che si può raggiungere anche a piedi, scendendo dalle Catacombe, e proseguendo a destra per un sentiero immerso nel verde; si arriva così alla poderosa costruzione viaria romana, realizzata in travertino; l’imponente opera romana è situata in un contesto ambientale di particolare pregio, circondato da un bosco ceduo di querce fra cui è presente anche la specie Farnetto. In questa area fino agli anni 50 del secolo scorso è stata attiva anche una miniera di lignite.
RAGGIUNGI L'ITINERARIO
APPROFONDIMENTI Itinerario n 1
La Via Flaminia La strada consolare, (la prima tra le Viae Publicae romane verso il Nord) realizzata dal censore Caio Flaminio nel 220 a.C, collegava Roma ai porti dell’Adriatico ed all’Italia del nord,attraversando nel suo tracciato originario da Narnia a Mevania la fascia pedemontana occidentale dei Monti Martani; rappresentò fin verso il VI sec. d.C una delle arterie più frequentate dell’Italia centrale. La Consolare fu costruita sfruttando ed adattando percorsi precedenti, anche molto antichi, legati alla transumanza e agli spostamenti dei popoli Umbri. Fu proprio in un luogo a diciotto miglia romane da Narni localizzabile nel sito dell’attuale chiesa di Santa Maria in Pantano, che fu costruita dai romani, probabilmente coeva alla via, la statio ad Martis da cui si sviluppò, ben presto, un centro abitato: il Vicus Martis, solidamente attestato in molte delle iscrizioni romane qui rinvenute. Dal III sec. questo primo tracciato della Flaminia, nato come strada militare, iniziò a risentire della variante, realizzata per fini economici, che per Terni e Spoleto raggiungeva Forum Flaminii, (nei pressi dell’attuale Foligno) e si ricongiungeva al vecchio tracciato Narniae-Carsulae-Mevania. I due tracciati si biforcavano proprio all’inizio della catena dei Monti Martani (aggirandola ad est e ad ovest) dopodichè la Flaminia vetus lasciato il centro di Carsulae, del quale ne costituiva il cardo, raggiungeva, passando per la Statio ad Martis- stazione di cambio, il Vicus Martis, l’attuale Massa Martana. La vita e la prosperità del Vicus Martis furono strettamente legate alle sorti della Flaminia come dimostrano diversi resti epigrafici ed archeologici tra cui si segnalano due interessanti iscrizioni che ricordano importanti lavori di restauro della stessa via. La prima, oggi dispersa, si riferisce all’imperatore Antonino Pio, l’altra, conservata sotto l’arco della porta di Massa Martana, è dell’imperatore Adriano e fu trovata nei pressi della diruta chiesetta di San Giacomo, proprio lungo la via Flaminia.Dopo la caduta dell’Impero Romano, il tracciato occidentale della Flaminia fu abbandonato e decadde, ma la zona non rimase esclusa dal transito, (perché compresa tra il nuovo tracciato e la Via Amerina). Nel periodo altomedievale fu rilevante via di raccordo tra Roma e Ravenna e lo testimoniano i ruderi di Montecastro, probabilmente un tempio legato ad un culto umbro, poi diventato castrum in difesa della sottostante Via Flaminia. Molti sono i materiali di spoglio riutilizzati in tutta la zona, numerosi i colombari, rimasti a lungo sconosciuti e le chiese romaniche costruite sopra templi pagani dedicati agli dei Apollo, Cerere, Mercurio e Marte: proprio da quest’ultimo hanno preso nome i monti vicini e l’area circostante, ricca di frammenti di laterizi e ceramiche che continuamente vengono alla luce durante i lavori agricoli.
Santa Maria in Pantano Secondo una leggenda locale, la chiesa è stata edificata, nel V secolo dal magister militum Severo sui ruderi di un edificio o di un tempio pagano della Civitas Martana. Il basamento della chiesa, infatti risale, probabilmente ad un edificio tardo imperiale, del quale sono visibili le murature laterali in opus reticulatum con parti di mattoni, nella fiancata destra della chiesa. Molto più probabilmente la chiesa fu edificata ad unica, grande aula absidata tra il VII e il VIII secolo, aggiungendo all'edificio romano la parte presbiteriale e absidale, leggermente sopraelevate e con le murature in opus spicatum. Di notevole interesse architettonico è l'abside, scandita esternamente da ampie arcate che richiamano motivi in uso nell’area veneta. Annesso alla chiesa fu poi costruito un monastero, gestito dai monaci benedettini che bonificarono e resero fertile la località, spesso inondata dal torrente Tribbio, come chiaramente indica il toponimo in pantano. Alcuni documenti attestano che la chiesa era alle dipendenze del monastero di Farfa, quindi ebbe sicuramente un ruolo politico notevole nell’area martana. La facciata della chiesa non è allineata con la strada moderna, bensì con il vecchio tracciato della Via Flaminia che corre più a destra; è arricchita da un portale ad arco acuto, in conci alternati bianchi e rossi con cornice marmorea, ed un semplice rosone che ne abbellisce la semplice struttura rettangolare. L’interno, molto sobrio, diviso in 3 navate da poderose colonne e capitelli di vario tipo; conserva ancora frammenti di affreschi medioevali di scuola locale. Si possono ammirare urne cinerarie, frammenti decorativi romani e numerose iscrizioni. Notevoli il grande capitello corinzio riutilizzato come sostegno dell'ultima arcata di destra; i frammenti dell'antico pavimento a mosaico e ad opus spicatum, ritrovati in recenti lavori di restauro e il grande cippo con l'iscrizione che ricorda i Vicani Vici Martis riutilizzato come base per l'altare maggiore. Tra gli affreschi, quasi tutti di scuola locale, si segnalano quello sull'altare della navata destra Madonna con il Bambino tra Santa Barbara e Sant'Antonio Abate del XV secolo, opera di Niccolò di Vannuccio; sulla parete posteriore un affresco con raffigurati Sant'Antonio Abate, San Pietro, San Fortunato e Sant'Onofrio del XIV secolo; al centro dell'abside Madonna con il Bambino (sec. XIV-XV), al quale furono aggiunti posteriormente San Felice e San Benedetto. Sulla sinistra una Crocifissione con San Severo e San Francesco (sec. XVII). Uscendo dalla chiesa, merita un veloce sguardo la torre quadrata con coronamento ad archetti medioevali del XIV secolo, che si innalza a dominio della valle. Altra testimonianza dell’insediamento romano, è una cisterna, individuata nel 1997, nei sotterranei di un fabbricato rurale sito nei pressi di Santa Maria in Pantano. Si tratta di un ambiente costituito da due cunicoli lunghi circa m. 15, larghi m. 2 e alti m.3, raccordati da un cunicolo trasversale più o meno delle stesse dimensioni.
Curiosità: Se si osserva con attenzione il muro esterno dell'ex monastero, a sinistra della chiesa, si potrà notare, incastonata nel paramento murario e un po’ erosa dal tempo, un'urna funeraria romana, con un bassorilievo raffigurante il Sacrificio di Ifigenia, interessante iconografia diffusa all’epoca. Il mito racconta che i Greci erano radunati in Aulide da più di tre mesi, e per il persistere della bonaccia non si poteva salpare. Chiamarono l’indovino Calcante perchè gli dicesse che cosa si poteva fare. L’indovino gli ricordò che alcuni anni prima aveva offeso gravemente la dea Artemide: avendo trafitto con un bel colpo un cervo, si era vantato d'essere un cacciatore più bravo della dea stessa della caccia. E ora Artemide pretendeva, se si voleva far partire la flotta, che Agamennone le sacrificasse sull'altare la propria figlia Ifigenia. Bisognò far venire da Micene la bella Ifigenia: mentre il sacerdote immergeva già il coltello nel petto di ifigenia, l'altare venne circondato da una densa nebbia, e, quando questa si ritirò, invece del corpo insanguinato della giovinetta, sull’altare si trovo’ il corpo insanguinato di una cerbiatta.
Artemide aveva avuto pietà dell'intrepida ragazza e l'aveva sostituita con la cerbiatta, portando via ifigenia viva in Tauride, dove il re del luogo, Toante, la fece sacerdotessa della dea che l'aveva salvata. Ed ecco che subito sorse da terra un venticello che andò a mano a mano crescendo, e la flotta greca potè finalmente togliere gli ormeggi, spiegare le vele e salpare per la Troade. Da sinistra, nel bassorilievo, si scorge una figura maschile nuda che tira a sé una figura con l'himation sul capo (forse Agamennone), poi un albero stilizzato, un uomo che tiene per i capelli una figura più piccola che fugge (forse Ifigenia), un'ara con dei simboli e tre guerrieri con lancia.
Curiosità: Poco distante da qui, seguendo il tracciato dell’antica Via Flaminia, in direzione Massa Martana, sorge un grande monumento funerario d’epoca romana, del quale resta soltanto l’ossatura centrale in calcestruzzo, a causa dei ripetuti scavi clandestini. Al Mausoleo infatti è legata un’antica leggenda, secondo la quale al suo interno sarebbe nascosto un prezioso tesoro composto da una mucca con sette vitelli d’oro, la leggenda è conosciuta in varie località della zona e rende questo luogo ricco di mistero e fascino, motivo per il quale molte volte è stata oggetto di scavi rocamboleschi! Nei pressi della costruzione è stata recentemente rimessa in luce una seconda tomba a edicola, della quale resta l’intero basamento in grossi blocchi di travertino.
Vicus Martis Tudertium Intorno alla chiesa di S.Maria in Pantano, realizzata nei secoli VII-VIII sfruttando un preesistente edificio romano del quale se ne conservano notevoli parti, si colloca il Vicus Martis Tudertium, attestato da numerose epigrafi provenienti da questa località e da identificare con la Statio ad Martis (stazione di posta) sulla Flaminia, ricordata nell’Itinerario dei vasi di Vicarello (I sec.), nell’Itinerario Antonino (II sec.) e nella Tabula Peutingeriana (V sec.); testimonianze certe della sua importanza per tutto il periodo imperiale; il vicus sorgeva presso una diramazione che collegava il percorso alla Via Amerina e quindi a Todi, costituendo un avamposto e uno scalo di Tuder sulla Flaminia, a cui infatti si richiama nel nome. Nonostante i numerosi indizi e ritrovamenti (da ricordare inoltre resti di un grande edificio a pianta rettangolare, con murature in opera quasi reticolata, inglobate nelle strutture della chiesa), l’area non è stata mai oggetto di indagini scientifiche. Nell’anno 2008, su concessione del Ministero dei Beni Culturali e sotto il controllo della Soprintendenza Archeologica dell’Umbria nella persona del dott. Paolo Bruschetti, sono iniziate le prime indagini, condotte da un gruppo di studenti americani della Drew University di Madison, New Jersey, guidati dal professor John Muccigrosso e coadiuvati dall’équipe di archeologi dell’impresa Intrageo di Todi. Le operazioni di scavo, hanno permesso di portare in luce una serie di edifici con un invidiabile stato di conservazione dei muri perimetrali, che dimostrano l’esistenza del vicus, (impianto abitativo, spesso di modesta entità situato intorno a snodi fondamentali di comunicazione) con dimensioni che coprono un’area di circa sette ettari.
Curiosità: Da ricordare che le stazioni lungo le vie romane erano di tre tipi: le civitas, la mansiones e le mutationes: in queste ultime erano gli iunctores jumentarii per il cambio dei cavalli, e proprio nel vico Martano resta traccia di una rara epigrafe che documenta l’esistenza di un collegium jumentarii, corporazione destinata a questo importante servizio.
Pietra Rosa di San Terenziano: Altra tipicità del territorio è la Pietra Rosa utilizzata per le costruzioni. Una pietra particolarmente pregiata usata per finiture, arredo urbano o complementi di interni. E' un'arte antica che si conserva nelle mani dei pochi scalpellini che ancora si tramandano il mestiere. La scaglia rossa è una roccia sedimentaria marina costituita da calcari selciferi a grana fine, più o meno marnosi, di colore prevalentemente rossiccio che può passare al bianco, al giallo, al rosso cupo. La colorazione rossa deriva dalla dispersione nella massa calcarea di ossidi di ferro (limoniti ed ematiti); localmente alcune tinte biancastre possono essere dovute a decolorazione secondaria. I calcari della scaglia rossa presentano sempre una fitta stratificazione regolare e sono stati deposti tra i 90 e i 55 milioni di anni fa, nel Cretaceo superiore, e parzialmente nell'Eocene inferiore.
Rosso Ammonitico: Si tratta di calcari e calcari marnosi stratificati, con tessitura nodulare, caratterizzati generalmente (anche se non necessariamente) da una notevole frequenza di ammoniti fossili, e dal colore rosso o rosato (ma sono frequenti anche toni violacei e verdi) a causa dell'ossidazione del ferro (Fe3+). Per quanto in passato questo tipo di roccia sia stato spesso utilizzato come pietra da costruzione (in particolare quello proveniente dal Veronese e diffusissimo in tutta Italia) attualmente la cavatura industriale del rosso ammonitico è soprattutto in funzione del suo utilizzo come pietra ornamentale, sia per interni che per esterni, per la bellezza delle sue sfumature, che vanno dal rosso-violaceo al rosa-corallo, al giallo e al verde. Gli impieghi prevalenti sono nel settore dei pavimenti, ma è utilizzato anche per l'assemblaggio di scale, rivestimenti, colonne, balaustre, stipiti, cornici, caminetti, lavori di scultura. L'utilizzo nell'edilizia dei calcari in facies di rosso ammonitico è legato al tenore in carbonato: più questo è elevato, più migliorano le caratteristiche meccaniche e soprattutto la lucidabilità.
Travertino: Il travertino è una roccia sedimentaria calcarea di tipo chimico, molto utilizzata in edilizia, in particolare a Roma, fin dal I millennio a.C.. La differenza tra il deposito calcareo di tipo spugnoso e il banco di travertino è data sostanzialmente dalla conformazione geologica del terreno di formazione: il calcare è uno dei depositi più frequenti in natura essendo prodotto dalla precipitazione di Carbonato di calcio disciolto nell'acqua. Un ambiente continentale subaereo in cui la soluzione calcarea abbia avuto il tempo di ristagnare e sedimentarsi in un territorio pianeggiante, abbastanza vicina alla superficie da poter attraversare cicli di evaporazione e ri-sommersione, poco disturbata da acque sorgive o correnti, favorisce la formazione del travertino. Il colore del travertino dipende dagli ossidi che ha incorporato (cosa che accade abbastanza facilmente, essendo di sua natura una pietra abbastanza porosa). La colorazione naturale varia dal bianco latte al noce, attraverso varie sfumature dal giallo al rosso. È frequente incontrarvi impronte fossili di animali e piante.
Montignano Il castello, che sorge poco distante da Santa Maria in Pantano, in posizione collinare, apparteneva al feudo degli Arnolfi, nei secoli X e XI, viene ricordato in un documento dell’abbazia di Farfa del 1115 come Poggio di Santa Maria in Pantano. Come molti altri borghi della zona, durante il XII fu sottomesso da Todi. Il castello presenta ancora una buona parte delle sue strutture medioevali: le mura, alcune torri angolari e la porta di accesso oltre la quale si trova la piccola chiesa di San Giovanni, che conserva una pregevole tela raffigurante la Madonna del Rosario opera di Bartolomeo Barbiani. Poco fuori del castello, si trovano i ruderi (le mura perimetrali e l'abside semicircolare in pietra squadrata) dell’antica chiesa di Santa Degna, documentata fin dal secolo XIII; di notevole interesse è il grande sarcofago di pietra che si trova dietro l'abside.
Curiosità: Nel 1577 Montignano e la sua tenuta furono devastati dal passaggio di alcune truppe mercenarie francesi, a seguito di questo drammatico episodio, il consiglio generale di Todi, decise di esentare i suoi cittadini dal pagamento di dazi e imposte, per quattro anni!!
Il castello di Villa San Faustino fece parte anch’esso, nei secoli X e XI delle terre Arnolfe (citato in documenti dell’abbazia di Farfa del 1115 e 1118). Il castello, connesso con l’importante pieve di San Faustino, nel secolo XIII fu inserito nei possedimenti del contado di Todi.
Curiosità: Nel giorno di San Faustino si svolgeva nell’ampia radura antistante la chiesa una grande fiera tanto che nello statuto di Todi del 1275 viene stabilito di inviare a questa festa un giudice dei "malefizi" con un notaio ed una scorta armata per garantire l’ordine pubblico, che spesso veniva meno in queste occasioni di festa.
Abbazia di San Faustino L'abbazia di San Faustino, una delle più interessanti della zona, venne edificata sui ruderi di una villa romana, della quale recenti scavi hanno rivelato le fondazioni ed ambienti destinati alla lavorazione dei prodotti agricoli ad essa connessi. Costruita con materiale di recupero di edifici romani, presenta uniformità di struttura e di colore dovuta all’uso del travertino locale, materiale di costruzione anche del basamento della stessa chiesa. La chiesa, dedicata a San Faustino, probabilmente discepolo e confessore del vescovo della Civitas Martana San Felice, e l'attiguo monastero, furono edificati dai monaci benedettini, sulla tomba del Santo. La facciata presenta un’architettura di stile lombardo, purtroppo alterato dalla recente costruzione del portico antistante; della struttura originaria resta una bella trifora con colonnine marmoree. In origine doveva avere il presbiterio sopraelevato con sottostante cripta. L'interno, ad unica navata, è molto rimaneggiato, al centro dell'abside sono interrati due sarcofagi, uno dei quali è venerato come quello di San Faustino. Tra i vari frammenti scultorei ed iscrizioni, è interessante, quella che ricorda il passaggio del pontefice Pio II nel dicembre del 1462. Si segnala all’interno un affresco del pittore aretino Sebastiano Florii raffigurante la Madonna del Rosario (1580). Recente è anche il campanile, che si eleva, con una struttura imponente, separato dalla chiesa; l’edificio attiguo, invece, che costituiva il complesso abbaziale, ha conservato la forma inconsueta di poderosa casa rurale. La semplicità della struttura rustica dimostra che, a differenza di altre abbazie benedettine, il complesso di S Faustino non riuscì ad affermare la propria potenza, in quanto dal sec. XI fu dipendente dall’Abbazia di Farfa.
Curiosità:Guardando attentamente la facciata, a destra della trifora si potrà notare un’epigrafe con l'iscrizione di Lucius Julius Marcianus e di sua moglie Publicia, di evidente riutilizzo romano, a sinistra un frammento di fregio dorico con metope a rosette e bucrani. Molti edifici della zona, sono stati costruiti utilizzando materiale di spoglio, proveniente dai preesistenti edifici romani; una pratica molto frequente in questa zona; reperti antichi si trovano inglobati anche nelle altre chiese e abbazie del massetano.
Catacombe Nascoste tra campi di grano e casolari, si trovano le uniche catacombe cristiane in Umbria, costruite probabilmente dalla comunità cristiana del vicus, che si sviluppò molto presto (la leggenda agiografica di San Brizio indica il I-II secolo) e che fu senz’altro molto numerosa (nella Catacomba sono state individuate oltre 300 sepolture). Dal 1948 il nome delle catacombe è legato alla memoria di San Faustino; proprio in quell’anno infatti vennero ritrovate, nella abbazia omonima poco distante da qui, le sue ossa. Le catacombe, furono in parte interrate, dopo l’abbandono di questo tratto della Flaminia, e rimasero sconosciute fino al ‘600; sappiamo da una lettera del nobile Giuseppe Mattei, di Todi, datata 1691, che il luogo viene nominato come “grotta traiana”, e la sua descrizione è alquanto suggestiva: “Si entra tra le fauci di un grande scoglio di travertino, bisognando alquanto curvarsi e portarsi anco il lume,perché si va al buio. Dentro, dopo che si è discesi, si trovano tre strade sotterranee tutte scavate con lo scalpello”…
Successivamente su questo luogo cadde nuovamente il silenzio fino al 1900 quando si tornò a parlare delle catacombe al Secondo Congresso di Archeologia Cristiana; l’importanza del sito emergerà grazie all’archeologo Giuseppe Sordini che lo indicherà come primo ed unico cimitero in Umbria. Nel 1940 iniziarono finalmente i lavori di scavo per recuperare il cimitero, interrotti solo dalla Seconda Guerra Mondiale, quando la catacomba fu utilizzata come rifugio antiaereo dagli abitanti della zona. La catacomba non è ha le dimensioni delle ben più note catacombe cristiane di Roma, ma presenta comunque una struttura articolata; è composta da un corridoio principale discendente, lungo circa 25 metri ed alto fino a 4 metri; anticamente vi si accedeva con una ripida scala scavata nella roccia, oggi molto consumata e nascosta sotto la moderna scala di metallo. Dal corridoio centrale si dipartono simmetricamente quattro cunicoli laterali di diversa lunghezza. Le pareti dei cunicoli presentano file di loculi sovrapposti, di varie dimensioni, regolati sul corpo che vi si inumava. Si possono anche notare dei piccoli loculi, destinati alle sepolture dei bambini; molte sepolture sono chiuse da lastre di marmo o tegoloni di terracotta; molte tombe, dette formae, sono scavate anche nel terreno. Numerosi i graffiti con i simboli della croce, della palma e del pesce, legati alla figura di Cristo. Interessante un sarcofago scolpito a forma di toro che ha fatto avanzare l’ipotesi di un luogo dedicato al culto di Mitra, poi adattato a cimitero cristiano. Pochi i reperti archeologici ritrovati: singolare l’assenza di iscrizioni, attribuibile alla analfabetizzazione degli abitanti poiché si tratta di un ipogeo di campagna. Attigua alla catacomba è stata rinvenuta, nel 1997, grazie ai lavori avviati dalla Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, e condotti dalla Soprintendenza ai Beni Archeologici dell’Umbria, una piccola basilica, con orientamento ad est, pianta rettangolare ed abside semicircolare. Un edificio, probabilmente connesso alla vicina catacomba, e occupato da 19 sepolture di diverso tipo, scavate direttamente nella roccia; tra queste interessante anche la presenza di una tomba monumentale, con arcosolio in muratura, situata in prossimità dell’area absidale. I reperti ritrovati, lucerne di fattura grossolana, frammenti di ceramica e monete, sono dello stesso periodo di quelli ritrovati nella catacomba; testimonianza quindi della contemporaneità del cimitero ipogeo e della soprastante basilica. La presenza di tale complesso dimostra da un lato la precocità della diffusione del culto cristiano nell’area martana, dall’altro sottolinea il mantenimento di una notevole concentrazione demografica, sia pure di livelli socialmente modesti in tutta la zona. La catacomba fu ovviamente dimenticata quando questo tratto della via consolare perse di importanza, e fu gradatamente interrata dalle alluvioni rovinose del Naja. Solo nel 1600 si ebbe notizia della grotta Traiana, così detta o dal nome della locale famiglia Traia,o perché usata da Traiano quale via militare sotterranea; successivamente su questo luogo cadde il silenzio fino al 1900 quando si tornò a parlare delle catacombe al Secondo Congresso di Archeologia Cristiana.
Curiosità: Sul colle che sovrasta la catacomba si trovano i resti del basamento di un tempio pagano costruito con grossi blocchi squadrati, sul quale è addossata una moderna casa colonica. Nel secolo XIII il sito è documentato come fortilizio, con chiesa dedicata a Sant’Angelo, appartenente alla nobile famiglia dei Monticastri dalla quale discese fra Gian Bernardino Monticastri che, secondo alcune fonti storiche, avrebbe partecipato al primo viaggio di Cristoforo Colombo verso la scoperta del nuovo mondo. Si conserva, murata nella parete anche un’iscrizione che racconta la storia di questo personaggio.
Ponte Fonnaia Abbandonando la strada a scorrimento veloce si entra, quasi in punta di piedi, in una realtà rimasta indietro nel tempo. Immerso nel verde della vegetazione lussureggiante, poderoso e suggestivo, è il Ponte Fonnaia, del I sec. d.C., simbolo dell’antica Flaminia. Costruito per permettere alla Via Flaminia di attraversare il torrente Naja, fu realizzato in blocchi di travertino perfettamente squadrati ed ora si presenta nella veste assunta dopo i restauri d'epoca augustea (27 d.C.); è lungo 15 m, alto 8, con una sola arcata di 3,5 m a tutto sesto; presenta un intradosso obliquo per permettere alla strada soprastante di mantenere il suo asse geometrico. Sulla superficie interna dell’arcata i blocchi sono disposti in filari regolari, alternativamente per testa e per taglio, allo scopo di assicurare la migliore tenuta; i lati brevi dei singoli blocchi sono contrassegnati da lettere e numeri che indicano le sigle di cava. Da recenti analisi archeometriche (Vantaggi M., 2007) sui monumenti romani della zona si è notato che gli ingegneri romani prediligevano il travertino, (proveniente dalla limitrofa zona di S. Terenziano)..
Curiosità: I Romani usarono molto il travertino, in quanto facile sia da estrarre, sia da lavorare e resistente all’aggressione degli agenti atmosferici; questo materiale inoltre era visivamente gradevole e grazie al suo colore bianco latteo dava imponenza e maestosità alle opere, simulando il ben più prezioso marmo.
Il farnetto (Quercus frainetto Ten.) è un albero della famiglia delle Fagacee. Ha portamento maestoso che raggiunge i 25 m di altezza dopo una lentissima crescita. I giovani rami sono pelosi e la corteccia del tronco è grigio-bruno mentre negli esemplari adulti la corteccia è suddivisa in piccole squame rugose. Le foglie sono piuttosto lunghe (15/20 cm) e di un bel verde intenso. Le ghiande sono dolciastre, molto ricercate da ghiandaie e picchi.
La lignite classificata nel commercio internazionale come Brown Coal, cioè carbone marrone, è un carbone “molto giovane”. Infatti, è composto da materiale organico, di origine vegetale, in corso di fossilizzazione in ambiente anaerobico, cioè privo di ossigeno. La lignite presente in Umbria si è formata in epoca plio-plestocenica; originato dalla crescita di piante lacustri sui resti delle preesistenti. In quel periodo, cioè da 5 a 1,7 milioni di anni fa, il Tevere non era ancora il fiume che conosciamo oggi e le acque del suo bacino si raccoglievano nel “lago Tiberino”. Nel quaternario, circa 1,7 milioni di anni fa, il lago formava la più vasta distesa d’acqua dell’Italia centrale; sul bacino che esso ha lasciato si trovano le principali miniere di lignite dell’Umbria. I depositi di questo lago sono formati da ciottoli e sabbie in alto e da argille in basso; tra queste, a livelli differenti, sono racchiusi banchi di lignite xiloide, in parte completamente legnosa, cioè costituita da tronchi di vegetali, e in parte torbacea scistosa, cioè formata essenzialmente dalle foglie delle stesse piante.