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Villa San Faustino

Il castello di Villa San Faustino fece parte anch’esso, nei secoli X e XI delle terre Arnolfe (citato in documenti dell’abbazia di Farfa del 1115 e 1118). Il castello, connesso con l’importante pieve di San Faustino, nel secolo XIII fu inserito nei possedimenti del contado di Todi.

Curiosità: Nel giorno di San Faustino si svolgeva nell’ampia radura antistante la chiesa una grande fiera tanto che nello statuto di Todi del 1275 viene stabilito di inviare a questa festa un giudice dei "malefizi" con un notaio ed una scorta armata per garantire l’ordine pubblico, che spesso veniva meno in queste occasioni di festa.

 

Abbazia di San Faustino: L'abbazia di San Faustino, una delle più interessanti della zona, venne edificata sui ruderi di una villa romana, della quale recenti scavi hanno rivelato le fondazioni ed ambienti destinati alla lavorazione dei prodotti agricoli ad essa connessi. Costruita con materiale di recupero di edifici romani, presenta uniformità di struttura e di colore dovuta all’uso del travertino locale, materiale di costruzione anche del basamento della stessa chiesa.  La chiesa, dedicata a San Faustino, probabilmente discepolo e confessore del vescovo della Civitas Martana San Felice, e l'attiguo monastero, furono edificati dai monaci benedettini, sulla tomba del Santo. La facciata presenta un’architettura di stile lombardo, purtroppo alterato dalla recente costruzione del portico antistante; della struttura originaria resta una bella trifora con colonnine marmoree. In origine doveva avere il presbiterio sopraelevato con sottostante cripta. L'interno, ad unica navata, è molto rimaneggiato, al centro dell'abside sono interrati due sarcofagi, uno dei quali è venerato come quello di San Faustino. Tra i vari frammenti scultorei ed iscrizioni, è interessante, quella che ricorda il passaggio del pontefice Pio II nel dicembre del 1462. Si segnala all’interno un affresco del pittore aretino Sebastiano Florii raffigurante la Madonna del Rosario (1580). Recente è anche il campanile, che si eleva, con una struttura imponente, separato dalla chiesa; l’edificio attiguo, invece, che costituiva il complesso abbaziale, ha conservato la forma inconsueta di poderosa casa rurale. La semplicità della struttura rustica dimostra che, a differenza di altre abbazie benedettine, il complesso di S Faustino non riuscì ad affermare la propria potenza, in quanto dal sec. XI fu dipendente dall’Abbazia di Farfa.

Curiosità:Guardando attentamente la facciata, a destra della trifora si potrà notare un’epigrafe con l'iscrizione di Lucius Julius Marcianus e di sua moglie Publicia, di evidente riutilizzo romano, a sinistra un frammento di fregio dorico con metope a rosette e bucrani. Molti edifici della zona, sono stati costruiti utilizzando materiale di spoglio, proveniente dai preesistenti edifici romani; una pratica molto frequente in questa zona; reperti antichi si trovano inglobati anche nelle altre chiese e abbazie del massetano.

Catacombe di San Faustino: Nascoste tra campi di grano e casolari, si trovano le uniche catacombe cristiane in Umbria, costruite probabilmente dalla comunità cristiana del vicus, che si sviluppò molto presto (la leggenda agiografica di San Brizio indica il I-II secolo) e che fu senz’altro molto numerosa (nella Catacomba sono state individuate oltre 300 sepolture). Dal 1948 il nome  delle catacombe è legato alla memoria di San Faustino; proprio in quell’anno infatti vennero ritrovate, nella abbazia omonima poco distante da qui, le sue ossa.  Le catacombe, furono in parte interrate, dopo l’abbandono di questo tratto della Flaminia, e  rimasero sconosciute fino al ‘600; sappiamo da una lettera del nobile Giuseppe Mattei, di Todi, datata 1691, che il luogo viene nominato come “grotta traiana”, e la sua descrizione è alquanto suggestiva: “Si entra tra le fauci di un grande scoglio di travertino, bisognando alquanto curvarsi e portarsi anco il lume,perché si va al buio. Dentro, dopo che si è discesi, si trovano tre strade sotterranee tutte scavate con lo scalpello”…

Successivamente su questo luogo cadde nuovamente il silenzio fino al 1900 quando si tornò a parlare delle catacombe al Secondo Congresso di Archeologia Cristiana; l’importanza del sito emergerà grazie all’archeologo Giuseppe Sordini che lo indicherà come primo ed unico cimitero in Umbria. Nel 1940 iniziarono finalmente i lavori di scavo per recuperare il cimitero, interrotti solo dalla Seconda Guerra Mondiale, quando la catacomba fu utilizzata come rifugio antiaereo dagli abitanti della zona. La catacomba non è ha le dimensioni delle ben più note catacombe cristiane di Roma, ma presenta comunque una struttura articolata; è composta da un  corridoio principale discendente, lungo circa 25 metri ed alto fino a 4 metri; anticamente vi si accedeva con una ripida scala scavata nella roccia, oggi molto consumata e nascosta sotto la moderna scala di metallo. Dal corridoio centrale si dipartono simmetricamente quattro cunicoli laterali di diversa lunghezza. Le pareti dei cunicoli presentano file di loculi sovrapposti, di varie dimensioni, regolati sul corpo che vi si inumava. Si possono anche notare dei piccoli loculi, destinati alle sepolture dei bambini; molte sepolture  sono chiuse da lastre di marmo o tegoloni di terracotta; molte tombe, dette formae, sono scavate anche nel terreno. Numerosi  i graffiti con i simboli della croce, della palma e del pesce, legati alla figura di Cristo. Interessante un sarcofago scolpito a forma di toro che ha fatto avanzare l’ipotesi di un luogo dedicato al culto di Mitra, poi adattato a cimitero cristiano. Pochi i reperti archeologici ritrovati: singolare l’assenza di iscrizioni, attribuibile alla analfabetizzazione degli abitanti poiché si tratta di un ipogeo di campagna. Attigua alla catacomba è stata rinvenuta, nel 1997, grazie ai lavori avviati dalla Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, e condotti dalla Soprintendenza ai Beni Archeologici dell’Umbria, una piccola basilica, con orientamento ad est, pianta rettangolare ed abside semicircolare. Un edificio, probabilmente connesso alla vicina catacomba, e occupato da 19 sepolture di diverso tipo, scavate direttamente nella roccia; tra queste interessante anche la presenza di una tomba monumentale, con arcosolio in muratura, situata in prossimità dell’area absidale. I reperti ritrovati, lucerne di fattura grossolana, frammenti di ceramica e  monete, sono dello stesso periodo di quelli ritrovati nella catacomba; testimonianza quindi della contemporaneità del cimitero ipogeo e della soprastante basilica.  La presenza di tale complesso dimostra da un lato la precocità della diffusione del culto cristiano nell’area martana, dall’altro sottolinea il mantenimento di una notevole concentrazione demografica, sia pure di livelli socialmente modesti in tutta la zona. La catacomba fu ovviamente dimenticata quando questo tratto della via consolare perse di importanza, e fu gradatamente interrata dalle alluvioni rovinose del Naja. Solo nel 1600 si ebbe notizia della grotta Traiana, così detta o dal nome della locale famiglia Traia,o perché usata da Traiano quale via militare sotterranea; successivamente su questo luogo cadde il silenzio fino al 1900 quando si tornò a parlare delle catacombe al Secondo Congresso di Archeologia Cristiana.

Curiosità: Sul colle che sovrasta la catacomba si trovano i resti del basamento di un tempio pagano costruito con grossi blocchi squadrati, sul quale è addossata una moderna casa colonica. Nel secolo XIII il sito è documentato come fortilizio, con chiesa dedicata a Sant’Angelo, appartenente alla nobile famiglia dei Monticastri dalla quale discese fra Gian Bernardino Monticastri che, secondo alcune fonti storiche, avrebbe partecipato al primo viaggio di Cristoforo Colombo verso la scoperta del nuovo mondo. Si conserva, murata nella parete anche un’iscrizione che racconta la storia di questo personaggio.

 

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