Alla scoperta dell’area martana: un breve profilo storico-artistico
La diffusione del cristianesimo
Dal Rinascimento all'epoca Post Unitaria
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Antico borgo medievale di incantevole fascino, sorge in un contesto ambientale di grande rilevanza e di forte impatto visivo. Protetta dalle montagne circostanti che sembrano disegnare un anfiteatro naturale, il castello si presenta chiuso dalle possenti mura della fine del XIII secolo. Garanzia di sicurezza ma anche espressione di prestigio, la cinta muraria si arricchisce dei caratteristici bastioni e di porte che assicuravano accesso al borgo. L’ingresso principale, dalle forme monumentali, presenta incastonate sul lato destro una serie di stemmi e pietre incise. Tra queste, compare l’iscrizione romana che ricorda il restauro della via Flaminia fatto eseguire dall’Imperatore Adriano mentre, per quanto riguarda gli stemmi, interessante quello della nobile famiglia Fonzi e quello di Massa Martana con un fiore a cinque petali e la mezzaluna. Varcata la porta, si entra nella piazza principale del borgo, Piazza Umberto I, piuttosto ampia e regolare, definita da alcuni degli edifici più rappresentativi della sua identità storica e culturale.
Tra questi emerge la chiesa di San Felice, dedicata al patrono della cittadina, vescovo e martire dell'antica Civitas Martana. L’edificio sacro è il frutto di molteplici rifacimenti e restauri compiuti nel corso dei secoli, l'ultimo dei quali è seguito agli ingenti danni causati da un bombardamento aereo avvenuto nel corso della seconda guerra mondiale. La facciata, rivestita di blocchi di pietra squadrata, è ripartita in quattro grandi riquadri conclusi in alto da un cornicione e da una finta balaustra, da dove si eleva il barocco campanile, eretto nel 1637.Le linee pure ed eleganti del portale introducono nell’ampio interno, con una sola navata coperta da volta a botte. Conferiscono un leggero senso di animazione alla solidità architettonica della chiesa, la serie di arcate che scandiscono le pareti e i robusti pilastri che le sostengono. L’altare maggiore, di scenografico gusto barocco, è arricchito da imponenti sculture lignee e della tela del pittore Giacinto Boccanera da Leonessa, datata 1723, raffigurante la Madonna reggente l’ostensorio tra il Beato Ruggero, San Felice, Santa Rita e San Pio V. Nella parete a sinistra dell’entrata, entro due grandi nicchie, sono conservati affreschi del XVI secolo: il primo rappresenta una Crocifissione, il secondo una Madonna in trono con il Bambino tra San Rocco e Sant'Ambrogio, di scuola umbra del XV sec. Lungo la parete destra della navata è possibile accedere ad un ambiente molto interessante, che, esternamente è riferibile al torrione delle mura castellane. Nel Rinascimento infatti questo torrione angolare venne praticamente inglobato nell’area presbiteriale della Chiesa di San Felice. Forse si tratta dell’antica cappella di Santa Maria, utilizzata come luogo devozionale, e poi adibita ad Oratorio del SS Sacramento, in uso già dal 1606. Entrando nell’ambiente si è immersi in un’atmosfera di grande suggestione, tutte le pareti sono infatti decorate con interessanti affreschi del XV e de XVII, oggetto di recenti campagne di restauro. Di particolare pregio, è l’altare, decorato, nello spazio sopra al tabernacolo con la scena della Madonna del Carmelo, (la data indica 1542) nella quale si nota l’umanità e il rapporto colloquiale tra la Vergine e Gesù. La scena è circondata da una decorazione molto scenografica di paraste con eleganti candelabre, angeli e le figure dei confratelli, vestiti dell’abito rosso con cappuccio. Ad arricchire il tutto, decorazioni all’antica con elementi floreali ed ovuli. Il messaggio teologico è ovviamente in perfetta sintonia con i dettami della Controriforma. Non si conosce l’autore, ma data la vicinanza con l’ambiente culturale tuderte, si può pensare a Pietro Paolo Sensini, collaboratore del ben più noto Ferraù Faenzoni, per le affinità stilistiche con altre opere dell’artista lasciate nella zona. Da notare anche l’immagine di una Madonna in trono con bambino, tra San Sebastiano e San Bernardino da Siena e un’Annunciazione, del XV sec.
In piazza Umberto I, di fronte alla chiesa di San Felice e dietro al monumento ai caduti, due lapidi ricordano la sosta di Anita e Giuseppe Garibaldi a Massa Martana e sono state murate sulla facciata dell’elegante palazzo che li ospitò nel 1849. Lasciato la piazza, il borgo si svela in tutto il suo fascino, regalando suggestivi scorci e ampie vedute sul territorio circostante. Un dedalo di vicoli si dipana infatti nel centro storico di questo castello, svelando la sua caratteristica configurazione urbanistica medievale e un tessuto edilizio da ascrivere in gran parte al XVI e XVII secolo, segno evidente della stagione di prosperità vissuta all’epoca dal borgo, quando erano presenti anche un ospedale e un’accademia letteraria. Lungo via Regina Margherita, la principale della cittadina, quasi nascosta dalla sobria eleganza dei palazzi che vi si affacciano, si trova la chiesa di San Sebastiano, sede dell’omonima confraternita documentata fin dal secolo XV. L’edificio, integralmente restaurato alla fine del ‘500, conserva al suo interno un barocco altare ligneo che inquadra lo stendardo opistografo dipinto da Pietro Paolo Sensini nel 1595, raffigurante la Madonna con il Bambino tra San Felice e San Sebastiano sul lato verso i fedeli e Gesù Cristo in croce fra due confratelli sul lato retrostante. Ai lati dell'altare si trovano due interessanti statue lignee policrome raffiguranti San Giovanni Evangelista e San Sebastiano,riferibili al XVIII secolo. Di fronte all’edificio sacro si eleva la mole del palazzo comunale, costruito nella seconda meta del XVI secolo sul sito dell’antico ospedale di Sant'Antonio, documentato sin dal XIV secolo. L’aspetto attuale dell’edificio pubblico, riconoscibile dalla caratteristica torre campanaria, è derivato dagli interventi di restauro compiuti alla fine del XIX secolo. Seriamente danneggiata dal terremoto del maggio 1997, Massa Martana ha chiuso la pagina più dolorosa della sua storia recente vincendo una sfida molto difficile. Grazie ad una complessa e sapiente opera di ricostruzione e riqualificazione, in quindici anni di duro lavoro, il borgo ha saputo integrare perfettamente quanto di nuovo è entrato a far parte del suo antico tessuto urbano - l’azzurro, il rosa, il giallo e gli altri colori delle facciate di alcuni suoi palazzi – con quanto è stato invece possibile recuperare – ad esempio le travi di legno che reggono i corridoi in sospensione tra un edificio e l’altro e alcuni palazzi storici usciti indenni dal sisma. L’orgoglio per il risultato ottenuto ha trovato efficace espressione nella realizzazione di Piazza della Rinascita, luogo della memoria di una collettività che ha saputo reagire e guardare avanti, come magistralmente evocato dalla scultura bronzea di Ilario Fioravanti, artista di Cesena di grande fama. L'opera, che è stata inaugurata nel 2007, raffigura una fanciulla a grandezza naturale seduta su un muretto: in quella giovane, dolce ma sicura di se, è l’immagine della rinascita di Massa Martana e dei suoi abitanti.
Curiosità: San Felice, vissuto all’epoca degli imperatori Diocleziano e Massimiano, passati alla storia quali promotori di terribili crociate contro i cristiani, fu invitato ad abiurare alla propria fede dal prefetto imperiale Tarquinio. San Felice, che non si lasciò intimorire, fu condannato al terribile martirio della graticola. Uscito indenne delle fiamme, fu immerso in un olla di pece bollente, infine, dato che non moriva mai, venne decapitato e il suo corpo trafugato in gran segreto dalla comunità cristiana. Oggi parte delle sue spoglie sono conservate nella cripta romanica dell’Abbazia di San Felice, situata a pochi km da Massa Martana, nel Comune di Giano dell’Umbria. In questa chiesa era conservato anche un famoso paliotto medioevale con il martiro del Santo, oggi presso la Galleria Nazionale dell’Umbria a Perugia. Il pregevole dipinto su tavola del XII sec., di scuola spoletina, mostra influssi bizantini, ed è stato attribuito ad un pittore anonimo, soprannominato Maestro di San Felice.
Pietra Rosa di San Terenziano: Altra tipicità del territorio, esclusivamente nella zona di San Terenziano , e la Pietra Rosa. Una pietra particolarmente pregiata usata per finiture, arredo urbano o complementi di interni. E' un'arte antica che si conserva nelle mani dei pochi scalpellini che ancora si tramandano il mestiere. La scaglia rossa è una roccia sedimentaria marina costituita da calcari selciferi a grana fine, più o meno marnosi, di colore prevalentemente rossiccio che può passare al bianco, al giallo, al rosso cupo. La colorazione rossa deriva dalla dispersione nella massa calcarea di ossidi di ferro (limoniti ed ematiti); localmente alcune tinte biancastre possono essere dovute a decolorazione secondaria. I calcari della scaglia rossa presentano sempre una fitta stratificazione regolare e sono stati deposti tra i 90 e i 55 milioni di anni fa, nel Cretaceo superiore, e parzialmente nell'Eocene inferiore.
Travertino:Il travertino è una roccia sedimentaria calcarea di tipo chimico, molto utilizzata in edilizia, in particolare a Roma, fin dal I millennio a.C. La differenza tra il deposito calcareo di tipo spugnoso e il banco di travertino è data sostanzialmente dalla conformazione geologica del terreno di formazione: il calcare è uno dei depositi più frequenti in natura essendo prodotto dalla precipitazione di Carbonato di calcio disciolto nell'acqua. Un ambiente continentale subaereo in cui la soluzione calcarea abbia avuto il tempo di ristagnare e sedimentarsi in un territorio pianeggiante, abbastanza vicina alla superficie da poter attraversare cicli di evaporazione e ri-sommersione, poco disturbata da acque sorgive o correnti, favorisce la formazione del travertino. Il colore del travertino dipende dagli ossidi che ha incorporato (cosa che accade abbastanza facilmente, essendo di sua natura una pietra abbastanza porosa). La colorazione naturale varia dal bianco latte al noce, attraverso varie sfumature dal giallo al rosso. È frequente incontrarvi impronte fossili di animali e piante.
Alla scoperta dell’area martana: un breve profilo storico-artistico
Numerose testimonianze archeologiche, rinvenute in tempi e luoghi diversi, documentano la presenza dell’uomo nel territorio martano sin dalle epoche più remote. Sulle cime del Monte Cerchio e del Monte Schignano some emersi resti di castellieri preistorici, modesti insediamenti fortificati costruiti in posizione elevata per sfruttare la naturale potenzialità difensiva dei siti. In alcune zone del territorio sono inoltre affiorati i cosiddetti utensili litici, oggetti di pietra lavorati dall’uomo per rispondere alle differenti esigenze che la vita quotidiana, allora particolarmente dura, imponeva. Lo sviluppo di insediamenti stabili, riferibili a popolazioni umbre e quindi anteriori alla romanizzazione, è testimoniato da cinque tombe a fossa, databili tra l’VIII ed il III secolo a.C., rinvenute in un colle presso la chiesa di Santa Maria della Pace e dai possenti ruderi di mura in opera quadrata in località Monticastri.
La costruzione della via Flaminia, realizzata nel 220 a.C., garantì al territorio umbro un’importante occasione di crescita e prosperità, divenendo parte integrante del percorso che collegava Roma ai porti dell’Adriatico. Il tracciato originario della strada consolare, nel tratto da Narni a Bevagna, attraversava la fascia pedemontana occidentale dei Monti Martani; l’odierno territorio di Massa, sino ad allora popolato da piccoli insediamenti sparsi a carattere presumibilmente rurale, si organizzò per rispondere al meglio alle mutate condizioni. La costruzione della statio ad Martis, da individuare nel sito oggi occupato dalla chiesa di Santa Maria in Pantano, non distante da Massa Martana, garantiva sosta e ristoro agli eserciti e ai viaggiatori in transito. La statio, ricordata in numerose testimonianze quali l’Itinerario dei vasi di Vicarello (I sec.), l’Itinerario Antonino (II sec.) e la Tabula Peutingeriana (V sec.), consolidò con il tempo la sua importanza, tanto da non essere scalfita dalla costruzione del diverticolo orientale della via Flaminia che, transitando per Spoleto, decretò la decadenza di numerosi centri. L’espressione ad Martis è da intendersi come al Fanum Martis, vale a dire nei pressi del tempio di Marte; l’edificio, e il relativo culto del dio della guerra, qualificavano quindi l’intera area ma non è ancora stato possibile localizzarne il sito. La statio, punto di riferimento di tutta l’area, progredì in Vicus Martis, vero e proprio centro abitato il cui nome, come d’altronde quello dell’odierno territorio, è ancora una volta legato a Marte e alla presenza del tempio a lui dedicato. Il Vicus compare in numerose iscrizioni romane rinvenute nell’area martana che rievocano i Vicani Vici Martis, i sodales martenses, un collegium iumentariorum, un sacrum Nympharum. Se l’assenza di puntuali testimonianze storiche impedisce di delineare la progressiva evoluzione del Vicus Martis, i resti epigrafici ed archeologici rendono comunque plausibile immaginare un centro abitato in continua ascesa, costantemente alimentato dagli interessi economici legati alla via Flaminia, di cui oltretutto rappresentava uno scalo obbligato per muovere in direzione di Todi, città di fondamentale importanza non coinvolta nel tracciato dell’arteria stradale. Nel corso della sua secolare storia, la via consolare fu sottoposta a interventi di restauro volti a garantirne la massima funzionalità. Dal territorio martano sono emerse due iscrizioni relative a queste operazioni di ripristino: una, oggi conservata nell’intradosso della principale porta d’accesso di Massa Martana, ricordava i lavori svolti durante l’impero di Adriano (117-138), l’altra, oggi dispersa ma nota attraverso numerose fonti, quelli promossi dal successore Antonino Pio (138-161).Alla strada era inoltre correlata la costruzione di imponenti opere quali ponti e viadotti, volti a superare i numerosi ostacoli interposti dall’ambiente naturale. Nel territorio dei Monti Martani fu realizzato il monumentale ponte Fonnaia, restaurato in epoca augustea (27 d.C.). L’ardita struttura, realizzata in blocchi squadrati di travertino di varie dimensioni, si compone di un solo arco; raggiunge una larghezza di circa 15 metri e un’altezza di circa 8 metri. Interessanti le numerose monete con le effigi degli imperatori Traiano, Adriano, Antonino Pio e Settimio Severo rinvenute in quest’area e oggi conservate in vari musei dell’Umbria, che lasciano supporre la lunga stagione di prosperità vissuta dal Vicus Martis. Il centro abitato era il perno attorno al quale gravitava l’intero territorio, che restava comunque connotato da numerosi altri insediamenti sparsi, di dimensioni presumibilmente modeste, i cosiddetti pagi e villae, dediti all’attività agricola. A conferma di questo sistema insediativo diffuso restano i numerosi colombari rinvenuti in luoghi assai differenti. La vocazione agricola dell’area trova ulteriore riprova nel recente rinvenimento di una villa nel cortile dell’abbazia di San Faustino, della quale sono emerse le fondamenta ed alcuni ambienti con suppellettili di lavorazione rustica ed artigianale. Nel corso del tempo il territorio martano ha quindi restituito numerose testimonianze concernenti la sua lunga storia, specialmente quella romana. Molte di queste sono migrate nei musei di altre città e, private del legame con l’ambiente che le ha prodotte, hanno inevitabilmente perso il loro più profondo significato, come ad esempio una raffinata statua di marmo bianco raffigurante una divinità femminile, forse Venere,che, dopo varie vicissitudini, è giunta nei Musei Vaticani di Roma. Molti altri reperti archeologici sono andati incontro a un destino ancor più svilente e di loro si sono completamente perse le tracce. Eppure, anche se privato di testimonianze che sicuramente avrebbero reso più agevole l’arduo compito di ricostruire la storia di questi luoghi, il territorio di Massa Martana lascia trapelare ancora oggi la sua antica veste romana, grazie soprattutto ai lunghi e imponenti tratti della via Flaminia che riaffiorano quasi all’improvviso regalando immagini di forte suggestione.
La diffusione del cristianesimo
La strada consolare garantì la rapida diffusione del Cristianesimo, accolto con immediata partecipazione dalle comunità locali. Vari racconti agiografici hanno tramandato i nomi di numerosi santi e martiri legati al Vicus Martis, barbaramente uccisi per aver difeso il loro credo e da subito oggetto di profonda devozione popolare: Brizio (I secolo), Felice, Fidenzio e Terenzio, Illuminata, Mauro, Asello e Lorenzo, Faustino (IV secolo) ed il magister militum Severo (V secolo). Nei pressi del ponte Fonnaia è visibile l’unica catacomba cristiana rinvenuta in Umbria, sviluppatasi tra il IV e il V sec. La semplicità delle sepolture, oltre trecento, prevalentemente a loculo e prive di decorazione, e l'assenza di materiale epigrafico testimoniano una destinazione legata esclusivamente alla popolazione rurale residente nell'area. Leggendo le passiones dei martiri ricordati poco sopra, risulta evidente un particolare di assoluto rilievo: non si menziona più il Vicus Martis ma la Civitas Martana, segno evidente dell’ulteriore sviluppo vissuto dal centro abitato tra il III e il IV secolo. San Brizio e San Felice figurano addirittura come vescovi della Civitas, realtà urbana che, in assenza di altre e certe testimonianze,sfugge a qualsiasi possibilità di ricostruzione storica. La commossa devozione dei fedeli garantì la sepoltura ai corpi dei martiri immolati per la difesa della fede cristiana. I sarcofagi dei santi furono dapprima custoditi all’interno di piccoli sacelli che, con il trascorrere del tempo, assunsero forme sempre più ampie e solenni, sino a divenire le imponenti chiese che ancora oggi contraddistinguono il territorio martano, formando un affascinante reticolo di abbazie perlopiù di epoca romanica (XI-XII sec.).Nel frattempo la via Flaminia seguiva la parabola discendente dell’impero romano e, al pari di analoghi assi viari,venne sfruttata da quelle popolazioni barbariche le cui invasioni decretarono il crollo di Roma e furono accompagnate da distruzioni, saccheggi e violenze. Il Vicus Martis non restò immune a questi terribili avvenimenti e fu devastato dalla furia dei Visigoti di Alarico.
Il territorio italiano si stava progressivamente trasformando in un campo di battaglia e per un lunghissimo periodo (535-553) divenne il terribile scenario della guerra tra Goti e Bizantini, durante la quale la Flaminia fu una delle strade maggiormente utilizzate dagli eserciti. Costretta da questi terribili eventi, la popolazione del Vicus Martis abbandonò quel sito che, garanzia di prosperità in passato, esponeva ora a rischi sempre più temibili. Le cime delle alture circostanti offrivano maggiori possibilità di sicurezza e furono così scelte per costruire quei primi insediamenti fortificati dai quali derivano i castelli medievali di Massa Martana e delle sue odierne frazioni. Difficile stabilire cosa accadde durante la cosiddetta età altomedievale, troppo spesso, data l’assenza di documentazione storica, liquidata con eccessiva facilità a lungo periodo di oblio e spopolamento. In realtà, l’abbondante presenza di chiese e monasteri benedettini, unita a quella di centri d’altura fortificati localizzabili nel versante occidentale dei Monti Martani, inducono a ritenere che questo territorio appartenne al potente Ducato longobardo di Spoleto, che pensò bene di includere nei propri possedimenti un’area altamente strategica come questa. All’età longobarda, precisamente tra il VII e l’VIII secolo, è inoltre da riferire la nascita del castello di Massa che, una consolidata tradizione, ha invece per molto tempo ricondotto al X-XI secolo,attribuendone la fondazione agli Arnolfi, feudatari di un vasto territorio a cavallo dei Monti Martani. A conferma dell’origine longobarda del borgo, viene in soccorso il toponimo Massa, presente con frequenza nel vocabolario in uso presso questa popolazione, per indicare un insieme di abitazioni fortificate. Nel X secolo Massa Martana fece effettivamente parte del vasto feudo degli Arnolfi e nel 1094 fu cinta da nuove mura proprio da un loro discendente, Raniero di Bonaccorso, dal quale si originò il ramo della nobile famiglia Bonaccorsi Fonzi di Massa. Quest’uomo fece inoltre costruire sulla cima dei Monti Martani una perduta rocca da identificarsi probabilmente con quella Turris montis Martani che compare in un documento del 1115, relativo ad una permuta tra i conti Ridolfo, Saraceno, Guillelmo, Hugolino, Bulgarello, Tebaldo e l’abate Beraldo di Farfa. Nel 1277, per volere del Vescovo di Todi Bentivegna, Massa Martana fu protetta da una nuova cinta muraria, più ampia della precedente. Iniziò allora un lungo periodo di lotte in cui Massa Martana e i castelli circostanti cercarono di difendere la propria autonomia dalle mire della città tuderte. Nel 1305 i ghibellini di Todi cinsero d’assedio Massa che, stremata, poté contare sul provvidenziale intervento di Perugia e di Benedetto XI. Il castello massetano rivolse i suoi appelli a Bonifacio IX che, nel 1397, lo liberò dalla giurisdizione di Todi ponendolo sotto la diretta protezione della Santa Sede. Lo stesso pontefice, nel 1403, fece un clamoroso passo indietro, riconsegnando Massa e le sue terre all’invisa città. Le fonti ricordano il coraggio della popolazione che, a più riprese, contrastò l’autorità di Todi. Mossi da uno straordinario spirito d’autonomia e indipendenza, i massetani nel 1473 si rivolsero a papa Sisto IV che, se dapprima sembrò dare ascolto alle loro sollecitazioni,in seguito annullò ifavori concessi. Alessandro VI pose Massa sotto il governo del Collegio dei Chierici.
Dal Rinascimento all'epoca Post Unitaria
Saccheggiata nel 1516 su ordine dal governatore pontificio di Todi per non aver voluto alloggiare alcuni reparti militari della chiesa, nel 1565 la Camera Apostolica, dietro il lauto compenso di 23.000 scudi d’oro, cedette il castello ai tuderti. I massetani non si diedero comunque per vinti e, quello stesso anno, ottennero l’annullamento dell’atto di vendita pagando alla Camera Apostolica un riscatto di 11.000 scudi d’oro. L’ingente sacrificio, in parte dispensato per intervento di papa Pio V che fu per questo onorato come compatrono e benefattore, garantì a Massa Martana la tanto agognata libertà. Per tutelare l’indipendenza finalmente ottenuta, nel 1571 i massetani si affidarono alla protezione perpetua del Collegio dei Cardinali e riformarono lo statuto comunale, preziosa fonte d’informazione per conoscere l’antica organizzazione amministrativa dell'"Illustre Terra di Massa nell’Umbria". Il prezioso testo colpisce per alcuni aspetti alquanto moderni, specie la durata assai breve dei mandati svolti dalle principali cariche pubbliche, atta a impedire l’affermazione di poteri personali destinati a ledere la gestione collettiva e garantista. Il Podestà aveva giurisdizione civile, penale ed amministrativa e durava in carica sei mesi; lo affiancavano due sindaci, quattro priori e un Consiglio dei Dieci. Le cariche erano assegnate dal Consiglio Generale, composto da tutti i capifamiglia residenti nel comune. Lo Statuto ricorda inoltre quattro camerlenghi, chiamati a svolgere l’incarico di esattori e tesorieri; due baiuli, che si occupavano dei servizi giudiziari e amministrativi, e un luogotenente delle milizie.L’ordinamento del 1571, ad eccezione di una breve interruzione nel periodo napoleonico,rimase in vigore fino al 1860. Il celebre plebiscito di quello stesso anno decretò l’annessione del borgo al Regno d’Italia. Con regio decreto del 29 marzo 1863 assunse l’odierna denominazione di Massa Martana che,ponendo orgogliosamente l’accento su due momenti salienti della sua lunga storia, quello romano (Martana) e quello medievale (Massa), esprime con grande efficacia l’essenza stessa del suo essere.