19 km - Itinerario fruibile in auto e in bici
L’itinerario geoturistico si sviluppa nell’area montana del comprensorio del territorio comunale e permette di apprezzare emergenze sia naturali che storico-artistiche. Il percorso inizia dalla frazione di Viepri, suggestivo borgo medioevale con la tipica struttura fortificata dei castelli tuderti del periodo, situato ai piedi di Monte Schignano, (dove sono presenti resti di un insediamento pre-romano), si raggiunge poi il complesso abbaziale di Santa Maria di Viepri (struttura privata, visitabile su richiesta), probabilmente eretta dai signori di Castelvecchio intorno al 1150, mantiene visibile la struttura romanica primitiva, anche dopo i numerosi restauri. Lasciata la Chiesa di Santa Maria si prosegue per Castelvecchio, che nel XIII secolo era uno dei più grandi e popolosi castelli della zona, con una poderosa cinta muraria ellittica e con oltre 100 nuclei familiari, dotato anche di un ospedale e ben sette chiese. Nel percorso è possibile vedere la Chiesa di Santa Maria di Castelvecchio, all’ingresso del borgo, e poco più avanti in direzione Grutti, la chiesetta di Sant’Ippolito documentata fin dal secolo XIII, dalla tipica struttura a capanna,con eleganti linee romaniche, abside semicircolare di forma inconsueta e il tipico paramento murario in conci bianchi e rosa. Nei pressi di Sant’Ippolito è possibile effettuare un breve percorso trekking di circa 800 m, grazie al quale è possibile osservare un suggestivo fenomeno carsico dell’area (dolina) ; proseguendo si raggiunge una vecchia cava dove è possibile rinvenire rocce calcaree con resti di ammoniti e molluschi marini, testimoni della lunga storia geologica che ha avuto l’area martana. L’itinerario prosegue rientrando sulla provinciale che da Viepri scende verso Colvalenza. Dopo alcuni km sullo stessa provinciale si raggiunge, visibile sulla destra, la chiesa di Sant'Arnaldo, del XIII, anche se molto rimaneggiata nei secoli successivi. Si celebra, qui, la seconda domenica di settembre un'antica festa in onore del santo titolare; in questa occasione accorrono molti fedeli grazie alle virtù taumaturgiche incarnate da Sant’Arnaldo. Si riprende la provinciale per circa 300 metri e si devia a sinistra per Castel Rinaldi, caratteristico borgo medioevale, anticamente feudo dei conti Arnolfi, poi sottomesso a Todi, con la sua cinta muraria ben conservata e la parrocchiale di San Sebastiano, è un tipico esempio di insediamento fortificato della zona, prima di chiudere il percorso rientrando a Viepri, si possono vedere, anche se nascoste in parte dalla vegetazione, piccole nicchie scavate nel travertino, (detti colombari) con una probabile funzione funeraria, di tipo pagano.
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APPROFONDIMENTI Itinerario n 4
Viepri Il borgo fortificato di Viepri è avvolto dalle alte colline circostanti che, chiamate per secoli ad assicurarne la difesa, sembrano ancora oggi continuare a nasconderlo. Costruito dopo il 1380 sulle rovine del demolito castello di Monte Schignano, il suo dominio fu oggetto di un’aspra contesa tra Todi e Foligno. Pur di non soggiacere all’autorità tuderte, nel 1392 preferì sottomettersi ad Ugolino Trinci, signore di Foligno. Fu comunque una breve parentesi e Viepri fu definitivamente conquistata da Todi che, per meglio rendere manifesto il suo potere, fece apporre il proprio stemma, un’aquila, sopra una delle due porte di accesso al castello. Queste ultime sono ancora ben conservate, mentre delle mura medievali è visibile solo una porzione del perimetro originario. All’interno del piccolo borgo si trova la chiesa di San Giovanni che custodisce un interessante affresco datato 1577, raffigurante in alto la Madonna col bambino tra angeli, sottola Decollazione di San Giovanni Battista, resa con uno stile semplice e popolare ma di grande efficacia comunicativa, e sulla sinistra San Rocco.
I Monti Martani La catena dei monti Martani si trova al centro dell'Umbria e si estende, con un andamento regolare da sud a nord, per circa 45 chilometri, tra le province di Terni e di Perugia.
È delimitato ad est dalla Valle Umbra e dalla Valserra; ad ovest dalla valle del fiume Tevere e da quella del Naia nella parte meridionale; a sud dalla Conca Ternana con il fiume Nera. La catena dei Martani è circondata da città e da centri storici importanti. A Nord Montefalco e Foligno, a Est Spoleto, a Ovest Todi, Acquasparta, Massa Martana e Sangemini, a Sud Terni. Numerose sono anche le tracce dell'antichità più remota e le aree archeologiche. La più importante è quella di Carsulae o i resti archeologici di Sant'Erasmo sul monte Torre Maggiore.
Le cime dei Martani sono perlopiù arrotondate e coperte da prati. Le più elevate sono:
Monte Torre Maggiore (1.121 m); Monte Martano (1.094 m); Monte Forzano (1.086 m); Monte Torricella (1.054 m); Capoccia Pelata (1.054 m); Cima Panco (1.013 m).
La vegetazione è costituita in prevalenza da boschi misti con prevalenza di quercia, da boschi puri di lecci e nelle zone più elevate di faggi. I Martani sono ricchi di grotte, doline e inghiottitoi originati dall'erosione dell'acqua, tra cui l'esempio di maggiore interesse è rappresentato dal Fosso di Pozzale. La stessa acqua, a valle, alimenta numerose sorgenti, alcune delle quali molto rinomate, come la Sangemini, la Fabia, l'Amerino, la Sanfaustino e la Furapane.
I Monti Martani fanno parte dell'Appennino Umbro-Marchigiano, un'entità geomorfologica e litologica ben definita descrivibile come un sistema di pieghe e sovrascorrimenti disposti a formare un arco a convessità orientale.
Nelle aree sommitali affiorano i calcari micritici: si sono deposti in un ambiente di sedimentazione di tipo pelagico a partire dal Giurassico inferiore, ovvero da 190 milioni di anni or sono.
Lungo la dorsale si possono osservare interessanti morfotipi carsici, formatisi per l'azione corrosiva delle acque meteoriche sul calcare, come le doline, presenti diffusamente lungo la catena (Il Tifene, Corva di Mezzanelli, Pozzale, ecc.) ad occidente della stessa, e i piani carsici come quello di Casetta San Severo.
In prossimità della vetta del Monte Martano una forte antropizzazione ha modificato il paesaggio montano.
In questo luogo, infatti, ritenuto strategico per posizione, esposizione ed altitudine, sono stati ubicati un numero considerevole di ripetitori radio-televisivi e una base militare. Le pendici della dorsale sono in gran parte rivestite da boschi misti.
I Castellieri Il castelliere (o castellare) è un piccolo insediamento, o villaggio, fortificato protostorico (età del bronzo e del ferro), sorto in genere in posizione elevata facilmente difendibile, in cui una situazione difensiva naturale veniva sfruttata e rafforzata dall'opera dell'uomo. Le fortificazioni sono in genere costituite da aggeri e palizzate di legno e sono per lo più, ma non sempre, a pianta circolare. Al villaggio fortificato sono a volte associate necropoli esterne, anticamente ad inumazione con il defunto racchiuso entro cassette costituite da lastre pietrose, impreziosite da vasi e martelli. Nell'età del ferro, invece, le necropoli sono ad incinerazione ed i reperti sono più vasti, comprendenti ossuari, anelloni, ossa di cervo, oggetti metallici. Spesso le loro ubicazioni ben difendibili sono state riutilizzate sia ai tempi degli antichi romani, sia durante il Medioevo. I castellieri caratterizzano la cosidetta cultura dei castellieri, sviluppatasi in Istria e nelle zone limitrofe (Venezia Giulia e Friuli) tra il XV e il III secolo a.C. Altri castellieri piuttosto noti e studiati in Italia, si trovano in Umbria, in particolare negli altopiani dell'appennino umbro-marchigiano. Fra i Castellieri presenti nel territorio ci sono da annoverare quelli di Monte Il Cerchio, Monte Martano, San Pietro in Monte, Monte Schignano e M. Capoccia Pelata.
Complesso abbaziale di Santa Maria di Viepri Fuori dall’abitato di Viepri sorge l’abbazia di Santa Maria che, secondo una consolidata tradizione, sarebbe stata edificata intorno al 1150 dai signori di Castelvecchio.Agli inizi del XIII secolo divenne pieve del distrutto castello di Monte Schignano. Interessante esempio di architettura romanica, nel corso del tempo subì vari interventi che, pur modificandone la struttura in alcune parti, non ne hanno comunque scalfito l’originaria identità. Sobria e monumentale allo stesso tempo, l’abbazia fu costruita utilizzando materiale proveniente da dismessi edifici romani. Sulla semplice facciata a due spioventi si apre un portale a rincassi sormontato da una bifora e si eleva quanto resta di una robusta torre campanaria, mutilata, sembra a causa di un fulmine. Inglobata in seguito nella costruzione adiacente all’edificio sacro, fu sostituita dal grande campanile quadrato ancora oggi visibile. Lungo le pareti esterne dell’abbazia sono stati inseriti vari e interessanti frammenti scultorei di epoca romana e altomedievale. Le absidi semicircolari presentano il caratteristico coronamento ad archetti pensili su mensole e lesene, comune alle chiese romaniche umbre. L’interno, ampio e solenne, è diviso in tre navate che, separate da solidi pilastri privi di capitelli, terminano in altrettante absidi. È coperto da volta a crociera sorretta da archi trasversali, ma è plausibile ipotizzare che in origine presentasse il consueto tetto ligneo a capriate. Nonostante l’abbazia sia priva di sottostante cripta, il presbiterio risulta leggermente rialzato rispetto al piano delle navate. Il solenne edificio scaro conserva un calice finemente cesellato, due dipinti seicenteschi del pittore tuderte Andrea Polinori raffiguranti la Natività della Vergine Maria e la Madonna del Rosario tra Santi,un’immagine di San Sebastiano affrescata nel XIII secolo.
Castelvecchio Il borgo si presenta oggi con una veste molto diversa da come doveva apparire nel Medioevo: rimangono, oggi, solo alcuni ruderi nascosti dalla vegetazione spontanea che ha ripreso possesso del rilievo sul quale sorgeva il borgo fortificato. Le fonti lo attestano come unodei più importanti e popolosi castelli della zona, l’abitato aveva circa 100 nuclei familiari; era cinto da una poderosa cinta muraria a forma ellittica. Luogo di passaggio, per la sua posizione lungo il percorso tra Massa Martana, Todi e Gualdo Cattaneo, aveva un ospedale e contava alle sue dipendenze ben sette chiese (San Giorgio, Sant'Anastasia, Santa Cristina, San Biagio, Santa Croce, Santissima Trinità e Sant’Ippolito, quest’ultima ancora mostra il suo fascino di pieve romanica. La storia di Castelvecchio è segnata da svariati episodi, che fecero del borgo un teatro di ripetuti scontri; tra questi si ricorda l’assalto, nel 1377, di Catalano degli Atti, capo della fazione guelfa; la popolazione, di parte ghibellina, riuscì a difendersi, grazie alla valida difesa che opponevano le possenti mura. Tutt’altro epilogo ci fu nel 1434 quando il castello fu totalmente distrutto dalle truppe di Francesco Sforza; i pochi superstiti decisero quindi di ricostruire il borgo più a valle, intorno ad un importante incrocio di strade dove nel 1603 fu costruito il Santuario della Madonna di Castelvecchio. L’edificio, che ancora domina l’abitato, mostra linee tardo rinascimentali, che poco si integrano con l’architettura e l’atmosfera medioevale dei castelli della zona. Il santuario, venne fatto costruire dal vescovo di Todi Angelo Cesi nel 1604, su progetto dell'architetto perugino Valentino Martelli; la chiesa fu edificata a ricordo di un fatto miracoloso avvenuto l'11 maggio 1602. Le semplici linee della struttura, nascondono un interno ricco di opere d’arte seicentesche, oltre all’affresco, situato sull'altare maggiore, con l'immagine miracolosa della Madonna con il Bambino, dipinto nel 1581 dal pittore tuderte Pietro Paolo Sensini. Nei quattro altari laterali sono conservate pregevoli tele seicentesche dei pittori: Ascensidonio Spacca detto il Fantino, Cristo crocifisso tra San Francesco e Santa Maria Maddalena, Pietro Paolo Sensini San Carlo Borromeo e Pietro Salvi da Bevagna Madonna di Costantinopoli tra Santi e la Santissima Concezione tra i Santi Francesco, Domenico e Antonio da Padova. Poco fuori dall’abitato si trova la graziosa chiesetta di Sant’Ippolito, documentata fin dalsecolo XIII, di eleganti linee romaniche con abside semicircolare di forma inconsueta e con paramento murario in conci bianchi e rosa. L'interno ad unica navata conserva, nell'abside, un affresco del secolo XVII raffigurante Cristo in Croce tra San Pietro e San Paolo.
Curiosità: Il miracolo avvenuto nel luogo dove oggi sorge il Santuario, ricorda la storia di tanti altri episodi miracolosi, avvenuti in Umbria in un periodo di forte religiosità, basti pensare al poco precedente Tempio di Santa Maria della Consolazione costruito a Todi. Si racconta che un uomo di nome Simone Graziani di Sgurgola, insieme al figlio Giacomo, posseduto da spiriti maligni, era in viaggio per un pellegrinaggio a Loreto, e passando per Castelvecchio fu costretto a rifugiarsi, per un improvviso temporale, in una piccola cappella posta lungo la strada. All’interno era dipinta sul muro un’ immagine della Madonna, l’uomo inizio’ a pregare ed il giorno dopo trovò il figlio completamente guarito. La notizia si diffuse immediatamente nelle zone circostanti ed una gran folla di fedeli accorse per rendere omaggio all'immagine miracolosa intorno alla quale fu poi costruita la chiesa.
Dolina di Castelvecchio Dolina è una parola di origine slovena e significa semplicemente valle. Dato che l'interesse per i fenomeni carsici ed anzi per lo stesso carsismo si è sviluppato a partire dai territori sloveni, la terminologia internazionale ha fatto proprio questo termine per definire più precisamente una valle carsica, cioè una depressione tipica del terreno modellato in varie fogge da fenomeni di carsismo. Una dolina è una conca chiusa, un bacino che si riempirebbe d'acqua originando un laghetto se le pareti ed il fondo fossero impermeabili; invece, di solito, l'acqua viene assorbita attraverso vie sotterranee. Formatasi dall’azione erosiva delle acque meteoriche la dolina carsica, di forma ellittica, misura 250-300 m di diametro e circa 20 di profondità. Le stratificazioni sono visibili e ben definite e quel che più conta, il luogo dove si trova la dolina è di grande interesse geologico.
Ammoniti: Gli Ammoniti, Phylum: Mollusca - Classe: Cephalopoda - Sottoclasse: Ammonoidea, sono molluschi cefalopodi comparsi nel Devoniano (ca. 400 milioni di anni fa) ed estintisi intorno al limite Cretaceo Superiore-Paleocene (ca. 65 milioni di anni fa). Erano animali di origine marina la cui conchiglia era formata da carbonato di calcio sotto forma di aragonite, mentre la parte organica era sostanzialmente composta da conchiolina.Sono stati classificati come cefalopodi e possono essere considerati come i progenitori degli odierni calamari e seppie. Le parti anatomiche che è possibile riconoscere e osservare dai fossili degli ammoniti, sono sostanzialmente: il Fragmocono e Protoconca, la Camera d'Abitazione ed il Peristoma.
Sant'Arnaldo La chiesa, appare isolata in mezzo a distese di campi, circondata solo da qualche leccio e da qualche cipresso; mostra ancora parte della facciata originale in pietra locale bianca e rosa; documentata fin da secolo XIII, presenta un interno ad unica navata, molto rimaneggiato nei secoli successivi. Vi si celebra la seconda domenica di settembre un'antica festa religiosa che attira numerosi fedeli da diverse località che accorrono per le virtù taumaturgiche che sembra avere Sant’Arnaldo, titolare della chiesa.
Castel Rinaldi Borgo medioevale, costruito, secondo la tradizione, nel 1160 da un tal "Rinaldo duca di Calabria", Castel Rinaldi fece parte anche del feudo dei conti Arnolfi. Costantemente di parte guelfa, fu spesso al centro di lotte intestine che segnarono il territorio nel Medioevo: nel 1311 fu assalito infatti dai ghibellini di Todi che lo costrinsero alla sottomissione, nel XV sec., passo’ sotto la signoria della potente famiglia Atti di Todi. Costruito in una zona poco stabile, intorno alla prima meta del 1400 fu danneggiato da alcuni smottamenti che ridussero notevolmente la grandezza del castello. Sappiamo che vi sosto’ papa Clemente VII, di passaggio in Umbria nel 1532. Meritano attenzione la cinta muraria medioevale e la chiesa parrocchiale di San Sebastiano. Poco fuori dal castello, purtroppo ricoperta dalla vegetazione e di difficile accesso, è situata una necropoli pagana, di notevole interesse storico e documentario, scavata nel tufo: formata da oltre 15 caverne, probabilmente prototipo per la successiva catacomba cristiana di San Faustino.
Curiosità: La profonda religiosità della popolazione martana è testimoniata, come si legge in un documento del 1700, dalla presenza di alcuni sepolcreti: «…si veggono alcune grotte. Una delle quali era un sepolcreto o un colombario con molte piccole nicchie per le olle cinerarie divise in vari ordini sino a sette l’una sopra l’altra.». (Nessi S., Ceccaroni S., 1978, p.58). Queste strutture, scoperte in numero notevole sulle rupi che costeggiano la via Flaminia ed il fosso di Massa Martana, consistono in ambienti ipogei di probabile uso funerario, scavati nella roccia. Presentano sulle pareti file di piccole nicchie, di 20-25 cm. di lato e profonde 30 cm., e di forma diversa a secondo della località; sono databili tra il II secolo a.C. ed il III secolo d.C. Nel colombario di Castel Rinaldi per esempio, sono perfettamente allineate ed hanno il lato superiore leggermente arcuato. Negli altri colombari, soprattutto in quelli della rupe di Massa Martana, visibili dalla strada che sale verso il centro storico, sono disposte a scacchiera ed hanno forma rettangolare mentre all’interno si allargano con leggera strombatura a tronco di piramide. Finora ne sono stati identificati 18, in diverse località (Massa Martana, Caciaro, Ponte e Castel Rinaldi), quasi tutti delle stesse dimensioni: 8-10 metri di lunghezza, 3-4 metri di altezza. Purtroppo sono difficilmente raggiungibili sia per la loro ubicazione sia perchè coperte dalla vegetazione; molte sono ancora seminterrate; probabilmente nel Medioevo, furono utilizzate dagli abitanti di Massa Martana, per l’allevamento dei colombi, come già testimoniato, per esempio ad Orvieto.
Curiosità: In questa area, proprio lungo l’antico tracciato della Via Flaminia, è stata rinvenuta nel 1839, una stele funeraria bilingue, oggi conservata nel Museo Etrusco Gregoriano.
La stele è incisa su entrambi i lati con iscrizioni in lingua latina e celtica e fa riferimento al monumento funerario di Ategnatus figlio di Drutus.