Montignano
Il castello, che sorge poco distante da Santa Maria in Pantano, in posizione collinare, apparteneva al feudo degli Arnolfi, nei secoli X e XI, viene ricordato in un documento dell’abbazia di Farfa del 1115 co [...]
Villa San Faustino
Il castello di Villa San Faustino fece parte anch’esso, nei secoli X e XI delle terre Arnolfe (citato in documenti dell’abbazia di Farfa del 1115 e 1118). Il castello, connesso con l’importante pieve di S [...]
Colpetrazzo
Castello costruito tra la fine del 1300 ed i primi anni del 1400, conserva ancora intatta la sua struttura medioevale. Di notevole interesse la porta d’ingresso, oltre la quale si trova la piccola chiesa di S [...]
Mezzanelli
Il castello di Mezzanelli , che sorge in posizione strategica, ha seguito le sorti dei vari dominatori che ne hanno gestito la vita politica; un tempo parte del feudo degli Arnolfi, il castello è stato citato [...]
Castel Rinaldi
Castel Rinaldi: Borgo medioevale, costruito, secondo la tradizione, nel 1160 da un tal "Rinaldo duca di Calabria", Castel Rinaldi fece parte anche del feudo dei conti Arnolfi. [...]
Viepri
Il borgo fortificato di Viepri è avvolto dalle alte colline circostanti che, chiamate per secoli ad assicurarne la difesa, sembrano ancora oggi continuare a nasconderlo. Costruito dopo il 1380 sulle rovine del [...]
I Monti Martani
I Monti Martani :La catena dei monti Martani si trova al centro dell'Umbria e si estende, con un andamento regolare da sud a nord, per circa 45 chilometri, tra le province di T [...]
Castelvecchio
Il borgo si presenta oggi con una veste molto diversa da come doveva apparire nel Medioevo: rimangono, oggi, solo alcuni ruderi nascosti dalla vegetazione spontanea che ha ripreso possesso del rilievo sul quale [...]

Andar per Castelli….tra storia e leggenda (2)

9,2 Km – Itinerario fruibile in auto e in bici

Il percorso inizia con la visita del centro storico di Massa Martana, (Itinerario n° 3 : Un itinerario del silenzio nell’area Martana), da qui,  costeggiando un tratto della vecchia Flaminia, dove sorge la Chiesa di Santa Maria delle Grazie, si raggiunge la Chiesa di Santa Maria in Pantano, situata lungo il tracciato della Via Flaminia, nel luogo dell’antico Vicus Martis Tudertium, (del quale sono emerse numerose testimonianze durante recenti scavi archeologici condotti da un’equipe statunitense, in corso dal 2008), divenuta poifulcro religioso nel periodo medioevale, si presenta oggi nella sua veste romanica. Questo itinerario percorre la fascia pedemontana occidentale dei Monti Martani, caratterizzata da vegetazione tipica della vera macchia mediterranea, che raggiunge in questa zona il suo areale più interno. In questo ambiente naturalistico di pregio, si trovano alcuni borghi medioevali fortificati, confine tra Le Terre Arnolfe (Mezzanelli) e l’area Tuderte.  Dall’Abbazia di Santa Maria in Pantano, si prosegue in direzione sud la statale fino a raggiungere il bivio per Colpetrazzo; da qui il percorso, molto suggestivo, permette di raggiungere Torre Lorenzetta, con la pieve romanica di San Sebastiano; Colpetrazzo, che mantiene la sua conformazione urbanistica medioevale, e a dominio di una delle porte del borgo, l’aquila tuderte, emblema del Comune di Todi. Si raggiunge, infine Mezzanelli, situato in posizione strategica, come dimostrano i ruderi della Rocca medioevale, nella parte più alta del colle, lungo le pendici di Monte il Cerchio. Quest’ultimo, Sito di Importanza Comunitaria, denominato “Monte il Cerchio”, è caratterizzato da una vegetazione tipica della Macchia Mediterranea e di bosco ceduo (Leccio, Bosso, Corbezzolo, Orniello, Carpino nero, Roverella, Cerro e Ginepro).

 

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APPROFONDIMENTI Itinerario n 2

 

Santa Maria delle Grazie

La chiesa di Santa Maria delle Grazie sorge ancora una volta in prossimità dell’antico tracciato della Via Flaminia. La struttura attuale, che risale alla fine del '400 fu realizzata, sfruttando un preesistente edificio come suggeriscono numerosi materiali architettonici del 1200, riutilizzati nella costruzione attuale.
La facciata attuale che si affaccia sull’antico tracciato della Via Flaminia, mostra una struttura rettangolare, in pietre di varie dimensioni, con un raffinato oculo ed un campanile a vela.
L'interno, ad una sola navata, presenta sull'altare la Madonna con il Bambino fra angeli, opera di un maestro anonimo chiamato Maestro dell'Incoronazione della prima metà del XV sec., nella tribuna, invece sono conservati interessanti affreschi di scuola umbra della prima meta del '500:  l'Adorazione dei Magi, l'Annunciazione, Cristo fra gli Apostoli, la Morte della Madonna, S. Francesco e altri Santi. Era conservata qui, inoltre, una preziosa statua lignea di Sant'Antonio Abate, risalente al 1484; la statua è stata restaurata e si trova oggi nella Chiesa di San Felice.

Curiosità: Il culto di S. Antonio Abate è molto diffuso in Umbria, soprattutto in zone a vocazione agricola, come l’area di Massa Martana. Secondo fonti agiografiche, Sant’Antonio, nacque a Coma in Egitto, intorno al 251, da ricchi agricoltori cristiani. E’ considerato un eremita tra i più rigorosi nella storia del Cristianesimo antico: malgrado appartenesse ad una famiglia piuttosto agiata, mostrò sin da giovane poco interesse per le lusinghe e per il lusso della vita mondana: alle feste ed ai banchetti infatti preferiva il lavoro e la meditazione e alla morte dei genitori distribuì tutte le sue sostanze ai poveri, si ritirò nel deserto e li cominciò la sua vita di penitente.
Compiuta la sua scelta di vivere come eremita, trascorse molti anni vivendo in un'antica tomba scavata nella roccia, lottando contro le tentazioni del demonio, che molto spesso gli appariva per mostrargli quello che avrebbe potuto fare se foste rimasto nel mondo. A volte il diavolo si mostrava sotto forma di bestia feroce - soprattutto di porco - allo scopo di spaventarlo, ma a queste provocazioni Antonio rispondeva con digiuni e penitenze di ogni genere, riuscendo sempre a trionfare. Ecco perché lo troviamo spesso raffigurato con un maialino. 
Malgrado conducesse una vita dura e piena di privazioni, Antonio fu molto longevo: la morte lo colse infatti all'età di 105 anni, il 17 Gennaio del 355, nel suo eremo sul monte Qolzoum.
I riti che si compiono ogni anno in occasione della festa di S. Antonio sono antichissimi e legati strettamente alla vita contadina e fanno di Antonio Abate un vero e proprio "santo" del popolo.
Egli è considerato il protettore contro le epidemie di certe malattie, sia dell'uomo, sia degli animali. E' stato invocato come protettore del bestiame e la sua effigie era collocata sulla porta delle stalle, molti esempi di questa pratica si trovano anche nella zona di Massa Martana.
Il Santo è invocato anche per scongiurare gli incendi, e non a caso il suo nome è legato ad una forma di herpes nota come "fuoco di Sant'Antonio" o "fuoco sacro".

Santa Maria in Pantano Secondo una leggenda locale, la chiesa è stata edificata, nel V secolo dal magister militum Severo sui ruderi di un edificio o di un tempio pagano della Civitas Martana. Il basamento della chiesa, infatti risale, probabilmente ad un edificio tardo imperiale, del quale sono visibili le murature laterali in opus reticulatum con parti di mattoni, nella fiancata destra della chiesa. Molto più probabilmente la chiesa fu edificata ad unica, grande aula absidata tra il VII e il VIII secolo, aggiungendo all'edificio romano la parte presbiteriale e absidale, leggermente sopraelevate e con le murature in opus spicatum. Di notevole interesse architettonico è l'abside, scandita esternamente da ampie arcate che richiamano motivi in uso nell’area veneta. Annesso alla chiesa fu poi costruito un monastero, gestito dai monaci benedettini che bonificarono e resero fertile la località, spesso inondata dal torrente Tribbio, come chiaramente indica il toponimo in pantano. Alcuni documenti attestano che la  chiesa era alle dipendenze del monastero di Farfa, quindi ebbe sicuramente un ruolo politico notevole nell’area martana. La facciata della chiesa non è allineata con la strada moderna, bensì con il vecchio tracciato della Via Flaminia che corre più a destra; è arricchita da un portale ad arco acuto, in conci alternati bianchi e rossi con cornice marmorea, ed un semplice rosone che ne abbellisce la semplice struttura rettangolare. L’interno, molto sobrio, diviso in 3 navate da poderose colonne e capitelli di vario tipo;  conserva ancora frammenti di affreschi medioevali di scuola locale. Si possono ammirare urne cinerarie, frammenti decorativi romani e numerose iscrizioni. Notevoli il grande capitello corinzio riutilizzato come sostegno dell'ultima arcata di destra; i frammenti dell'antico pavimento a mosaico e ad opus spicatum, ritrovati in recenti lavori di restauro e il grande cippo con l'iscrizione che ricorda i Vicani Vici Martis riutilizzato come base per l'altare maggiore. Tra gli affreschi, quasi tutti di scuola locale, si segnalano quello sull'altare della navata destra Madonna con il Bambino tra Santa Barbara e Sant'Antonio Abate del XV secolo, opera di Niccolò di Vannuccio; sulla parete posteriore un affresco con raffigurati Sant'Antonio Abate, San Pietro, San Fortunato e Sant'Onofrio del XIV secolo; al centro dell'abside Madonna con il Bambino (sec. XIV-XV), al quale furono aggiunti posteriormente San Felice e San Benedetto. Sulla sinistra una Crocifissione con San Severo e San Francesco (sec. XVII). Uscendo dalla chiesa, merita un veloce sguardo la torre quadrata con coronamento ad archetti medioevali del XIV secolo, che si innalza a dominio della valle.  Altra testimonianza dell’insediamento romano, è una cisterna, individuata nel 1997, nei sotterranei di un fabbricato rurale sito nei pressi di Santa Maria in Pantano.  Si tratta di un ambiente costituito da due cunicoli lunghi circa m. 15, larghi m. 2 e alti m.3, raccordati da un cunicolo trasversale più o meno delle stesse dimensioni.

Curiosità: se si osserva con attenzione il muro esterno dell'ex monastero, a sinistra della chiesa, si potrà notare, incastonata nel paramento murario e un po’ erosa dal tempo, un'urna funeraria romana, con un bassorilievo raffigurante il Sacrificio di Ifigenia, interessante iconografia diffusa all’epoca. Il mito racconta che i Greci erano radunati in Aulide da più di tre mesi, e per il persistere della bonaccia non si poteva salpare. Chiamarono l’indovino Calcante perchè gli dicesse che cosa si poteva fare. L’indovino gli ricordò che alcuni anni prima aveva offeso gravemente la dea Artemide: avendo trafitto con un bel colpo un cervo, si era vantato d'essere un cacciatore più bravo della dea stessa della caccia. E ora Artemide pretendeva, se si voleva far partire la flotta, che Agamennone le sacrificasse sull'altare la propria figlia Ifigenia. Bisognò far venire da Micene la bella Ifigenia: mentre il sacerdote immergeva già il coltello nel petto di ifigenia, l'altare venne circondato da una densa nebbia, e, quando questa si ritirò, invece del corpo insanguinato della giovinetta, sull’altare si trovo’ il corpo insanguinato di una cerbiatta. Artemide aveva avuto pietà dell'intrepida ragazza e l'aveva sostituita con la cerbiatta, portando via ifigenia viva in Tauride, dove il re del luogo, Toante, la fece sacerdotessa della dea che l'aveva salvata. Ed ecco che subito sorse da terra un venticello che andò a mano a mano crescendo, e la flotta greca potè finalmente togliere gli ormeggi, spiegare le vele e salpare per la Troade.  Da sinistra, nel bassorilievo, si scorge una figura maschile nuda che tira a sé una figura con l'himation sul capo (forse Agamennone), poi un albero stilizzato, un uomo che tiene per i capelli una figura più piccola che fugge (forse Ifigenia), un'ara con dei simboli e tre guerrieri con lancia.

Curiosità: Poco distante da qui, seguendo il tracciato dell’antica Via Flaminia, in direzione Massa Martana, sorge un grande monumento funerario d’epoca romana, del quale resta soltanto l’ossatura centrale in calcestruzzo, a causa dei ripetuti scavi clandestini. Al Mausoleo infatti è legata un’antica leggenda, secondo la quale al suo interno sarebbe nascosto un prezioso tesoro composto da una mucca con sette vitelli d’oro, la leggenda è conosciuta in varie località della zona e rende questo luogo ricco di mistero e fascino, motivo per il quale molte volte è stata oggetto di scavi rocamboleschi! Nei pressi della costruzione è stata recentemente rimessa in luce una seconda tomba a edicola, della quale resta l’intero basamento in grossi blocchi di travertino.   

 

Vicus Martis Tudertium Intorno alla chiesa di S.Maria in Pantano, realizzata nei secoli VII-VIII  sfruttando un preesistente edificio romano del quale se ne conservano notevoli parti, si colloca il Vicus Martis Tudertium, attestato da numerose epigrafi provenienti da questa località e da identificare con la Statio ad Martis (stazione di posta) sulla Flaminia, ricordata nell’Itinerario dei vasi di Vicarello (I sec.), nell’Itinerario Antonino (II sec.) e nella Tabula Peutingeriana (V sec.); testimonianze certe della sua importanza per tutto il periodo imperiale; il vicus sorgeva presso una diramazione che collegava il percorso alla Via Amerina e quindi a Todi, costituendo un avamposto e uno scalo di Tuder sulla Flaminia, a cui infatti si richiama nel nome. Nonostante i numerosi indizi e ritrovamenti (da ricordare inoltre resti di un grande edificio a pianta rettangolare, con murature in opera quasi reticolata, inglobate nelle strutture della chiesa), l’area non è stata mai oggetto di indagini scientifiche. Nell’anno 2008, su concessione del Ministero dei Beni Culturali e sotto il controllo della Soprintendenza Archeologica dell’Umbria nella persona del dott. Paolo Bruschetti, sono iniziate le prime indagini, condotte da un gruppo di studenti americani della Drew University di Madison, New Jersey, guidati dal professor John Muccigrosso e coadiuvati dall’équipe di archeologi dell’impresa Intrageo di Todi. Le operazioni di scavo, hanno permesso di portare in luce una serie di edifici con un invidiabile stato di conservazione dei muri perimetrali, che dimostrano l’esistenza del vicus, (impianto abitativo, spesso di modesta entità situato intorno a snodi fondamentali di comunicazione) con dimensioni che coprono un’area di circa sette ettari. 

Curiosità: Da ricordare che le stazioni lungo le vie romane erano di tre tipi: le civitas, la mansiones e le mutationes: in queste ultime erano gli iunctores jumentarii per il cambio dei cavalli, e proprio nel vico Martano resta traccia di una rara epigrafe che documenta l’esistenza di un collegium jumentarii, corporazione destinata a questo  importante servizio.

 

Le Terre Arnolfe Con il termine Terre Arnolfe si designa una suddivisione storica dell'Umbria, localizzata prevalentemente sulle colline e sui monti Martani, nell’area tra Montecastrilli, Acquasparta, Avigliano Umbro. L'antica capitale era costituita dal paese di Cesi; il nome deriva dai discendenti di Arnolfo che divennero vassalli della chiesa e feudatari di questo territorio, che prese quindi da loro il nome di Terre Arnolfe: queste terre infatti passarono dalla dominazione imperiale, sotto l’imperatore Enrico II, ultimo re di Germania, alla Chiesa. Papa Innocenzo III nel 1199, vi nominò anche il primo Rettore, il chierico Roberto Malvano, direttamente soggetto alla Sede Apostolica. Molti castelli del territorio martano, furono per un periodo sotto la giurisdizione delle Terre Arnolfe, per poi passare, in molti casi, sotto il dominio del ben più potente Comune di Todi.

 

 

 

Torre Lorenzetta Il borgo di Torre Lorenzetta, fu centro fortificato importante dell’area martana, alle dipendenze della parrocchia di Villa San Faustino sino al 1806, quando fu aggregato a quella di Colpetrazzo.  Anticamente era chiamato Poggio di S. Martino, e solo dal XV secolo prese il nome del proprietario Lorenzo di Giovanni Covitti, cambiando nome in Torre Lorenzetto. Il borgo, anche se in parte modificato dal punto di vista urbanistico, mantiene ancora alcuni edifici originali: poco fuori dal centro abitato è di notevole interesse la la piccola chiesa di San
Sebastiano, risalente al XIII secolo, con graziosa abside. Ad una sola navata, ospita qualche affresco quattrocentesco di scuola locale: un San Sebastiano tra l'Annunciata e la Madonna col Bambino  e l'Angelo Annunciante con San Fortunato. La chiesa ha subito gravi danni in seguito al terremoto del maggio del 1997, è stata però restaurata e mostra oggi l’antico fascino romanico.

 

 



 

 

Colpetrazzo  Castello costruito tra la fine del 1300 ed i primi anni del 1400, conserva ancora intatta la sua struttura medioevale. Di notevole interesse la porta d’ingresso, oltre la quale si trova la piccola chiesa di San Bernardino, antica parrocchiale del castello. Sopra la chiesa di San Bernardino merita una visita l'antica sala della confraternita del Santissimo Sacramento interamente decorata con un prezioso ciclo di affreschi votivi del XV e XVI secolo. Appena fuori dalle mura castellane si trova la chiesa parrocchiale, dedicata ai Santi Giuseppe e Bernardino, edificata nel secolo XVI in sostituzione della più antica chiesa di San. Bernardino, ritenuta piccola e collocata in posizione scomoda per l'accesso dei fedeli; che conserva alcune tele del 1600 attribuibili a pittori umbri dell’epoca.

 

 

 

Mezzanelli  Il castello di Mezzanelli , che sorge in posizione strategica, ha seguito le sorti dei vari dominatori che ne hanno gestito la vita politica; un tempo parte del feudo degli Arnolfi, il castello è stato citato in alcuni documenti del 1115 e 1118 con i quali i conti Ridolfo, Saraceno, Guillelmus, Hugolino, Tebaldo e Bulgarello cedevano parte di Mezzanelli e di altri loro possedimenti all’abate Beraldo di Farfa. Appartenne poi ai conti di Baschi quindi passò in parte sotto il dominio dei duchi Cesi. Situato in posizione ottinale fu più volte assalito da Spoleto e da Todi nel corso delle lotte tra guelfi e ghibellini. Subì distruzioni nel 1447 e nel 1451. Nel 1467 fu restaurato con il concorso di tutti i suoi abitanti che per l’occasione si autotassarono. Nel 1500 circa fu nuovamente assalito dalle truppe del papa Alessandro VI che distrussero la rocca. Quest’ultima, rimane ancora a dominio del borgo, e conserva una vistosa torre in pietra e le mura perimetrali; si può raggiungere con una piacevole passeggiata che sale dal borgo fino alla cima del colle, dove, immersi in un contesto paesaggistico molto suggestivo, appaiono i resti della struttura fortificata.  Proprio nella parte più alta del borgo, si trova la chiesa parrocchiale di San Filippo e San Giacomo che conserva un pregevole affresco raffigurante la Madonna del Rosario.

Curiosità: Tra il X e l’XI secolo si diffuse in Europa un fenomeno nuovo e destinato ad avere conseguenze di grande portata: l’incastellamento. L’assenza di un forte potere centrale e le nuove invasioni di Saraceni, Normanni, Ungari, gettarono il vecchio continente in una situazione di profonda insicurezza. I centri abitati furono costretti a ripensare la loro forma e organizzazione, dotandosi di strumenti in grado di rispondere all’impellente necessità di difesa. I borghi furono fortificati e si trasformarono in castelli, da intendersi pertanto non come fortezze militari ma come luoghi dove viveva stabilmente una comunità di persone. L’elemento identificativo di un castello, che generalmente sorgeva in posizione elevata, erano innanzitutto le mura, in grado di raggiungere spessori di 2-3 metri. Alte e possenti, erano concluse alla sommità da camminamenti e dalla caratteristica merlatura che consiste in un’alternanza di pieni e vuoti funzionale ad assicurare la protezione dei soldati dagli attacchi degli arcieri. Le merlature si distinguono in ghibelline o imperiali, quelle che presentano sommità a coda di rondine, e guelfe o papali, quelle a corpi quadrati. Le mura, che oltre ad assicurare la difesa militare generavano un sentimento d’identità e unità collettiva, si arricchivano di possenti torri, la principale delle quali era il cosiddetto mastio. Altro elemento fondamentale di un castello erano i fossati che, circondando le mura, mantenevano il nemico a distanza; potevano essere superati tramite ponti fissi in muratura o ponti levatoi in legno, sollevati in caso di pericolo. La gente viveva all’interno del castello e, nel caso di realtà di particolarmente popolose, la struttura divenne più complessa sino a contemplare chiese e piazze.

Il leccio: (Quercus ilex L.1753) detto anche elce, è una pianta della famiglia delle Fagaceae, diffusa nei paesi del bacino del Mediterraneo.

l leccio è generalmente un albero sempreverde con fusto raramente dritto, singolo o diviso alla base, di altezza fino a 20-25 metri. Può assumere aspetto cespuglioso qualora cresca in ambienti rupestri.

La corteccia è liscia e grigia da giovane, col tempo diventa dura e scura quasi nerastra, finemente screpolata in piccole placche persistenti di forma quasi quadrata.

I giovani rami dell'anno sono pubescenti e grigi, ma dopo poco tempo diventano glabri e grigio- verdastri.

Le gemme sono piccole, tomentose, arrotondate con poche perule.

Il Bosso: genere delle Buxaceae, arbusto cespuglioso sempreverde, ramoso compatto con fusto rami e legno giallastro, pianta moderatamente velenosa, foglie generalmente opposte picciolate o sessili, ellissoidali, coriacee di colore verde più o meno scuro e lucente, fiori monoici piccoli sessili, i frutti sono capsule coriacee con pochi semi oblunghi. Si trova spontaneo in luoghi rocciosi, aridi anche calcarei, in Europa, Asia e Africa.

Corbezzolo: Il corbezzolo (Arbutus unedo L., 1753), detto anche albatro, è un cespuglio o un piccolo albero appartenente alla famiglia delle Ericaceae. I frutti maturano nell'anno successivo rispetto alla fioritura che dà loro origine, in autunno. La pianta si trova quindi a ospitare contemporaneamente fiori e frutti maturi, cosa che la rende particolarmente ornamentale, per la presenza sull'albero di tre vivaci colori: il rosso dei frutti, il bianco dei fiori e il verde delle foglie.

Curiosità: Il poeta Giovanni Pascoli dedicò al corbezzolo una poesia. In essa si fa riferimento al passo dell'Eneide in cui Pallante, ucciso da Turno, era stato adagiato su rami di corbezzolo; il poeta vide nei colori di questa pianta una prefigurazione della bandiera italiana e considerò Pallante il primo martire della causa nazionale.

« O verde albero italico, il tuo maggio

è nella bruma: s'anche tutto muora,

tu il giovanile gonfalon selvaggio

spieghi alla bora »

 

Nel Risorgimento il corbezzolo, proprio a causa dei colori che assume in autunno, uguali a quelli della bandiera nazionale, era considerato un simbolo del tricolore.

 

L’Orniello: Fraxinus ornus è una pianta della famiglia delle Oleaceae, (conosciuto come Orniello o Orno e chiamato volgarmente anche frassino da manna o albero della manna nelle zone di produzione della manna) è un albero o arbusto di 4-8 metri di altezza, spesso ridotto a cespuglio,

Ha tronco eretto, leggermente tortuoso, con rami opposti ascendenti con corteccia liscia grigiastra, opaca, gemme rossicce tomentose; la chioma ampia è formata da foglie caduche opposte, imparipennate, con 5-9 segmenti (più spesso 7), di cui i laterali misurano 5-10 cm, si presentano ellittici o lanceolati, brevemente picciolati e larghi un terzo della loro lunghezza. Il segmento centrale, invece, si presenta largo circa la metà della sua lunghezza ed è obovato; la faccia superiore è di un bel colore verde, mentre quella inferiore è più chiara e pelosa lungo le nervature. Le infiorescenze sono a forma di pannocchie, generalmente apicali e ascellari; i fiori generalmente ermafroditi e profumati, con un breve pedicello, possiedono un calice campanulato con quattro lacinie lanceolate e diseguali di colore verde-giallognolo; la corolla ha petali bianchi leggermente sfumati di rosa, lineari, di 5-6 mm di lunghezza. Il frutto è una samara oblunga, cuneata alla base, ampiamente alata all'apice, lunga 2-3 cm e con un unico seme compresso di circa un centimetro.

Il carpino nero: (Ostrya carpinifolia) è un albero della famiglia delle Betulaceae. Il carpino nero ha tronco dritto e chioma raccolta e un po' allungata; le sue foglie sono a forma ovale, allungate e con il bordo seghettato; la nervatura principale è molto evidente. I frutti sono acheni a grappolo di colore bianco/verde. Il Carpino nero, in Italia, si trova nelle fasce medie delle colline in posizioni mediamente soleggiate. La formazione forestale nella quale il Carpino nero risulta nel suo optimum è l'Orno-ostrietum, vale a dire in associazione con l'Orniello (Fraxinus ornus). Tale associazione (di cui l'Orniello e il Carpino sono le specie rappresentative) è tipica della "vegetazione illirica", ben rappresentata in Italia. Ha esigenze idriche superiori a quelle della roverella, predilige i suoli calcarei e marnosi, teme il ristagno idrico, ma sopporta i terreni argillosi.

Il cerro: (Quercus cerris L.) è un albero a foglie caduche appartenente alla famiglia delle Fagaceae. È una specie che tende a sviluppare una chioma sino ad una altezza di 30-35 m. Il cerro ha foglie di colore verde scuro dal margine con profonde lobature. Il tronco ha corteccia grigio-brunastra con profonde solcature rossicce (il felloderma si rende infatti visibile). I frutti sono ghiande di circa 2,5 cm di lunghezza, caratteristiche per il "cappuccio" che le copre parzialmente ricoperto di una sortadi peluria riccioluta, di colore giallino chiaro. La propagazione avviene tramite ghiande la cui maturazione fisiologica si completa in due anni.

La Roverella: (Quercus pubescens, Willd. 1805), è la specie di quercia più diffusa in Italia, tanto che in molte località è chiamata semplicemente quercia. Appartiene alla famiglia delle Fagaceae. Resistente all'aridità, è facilmente riconoscibile d'inverno in quanto mantiene le foglie secche attaccate ai rami a differenza delle altre specie di querce. Il principale carattere diagnostico per identificare la specie è quello di sentire al tatto le foglie o le gemme: sono ricoperte da una fine peluria che si può facilmente apprezzare. Generalmente venivano lasciate delle piante di quercia lungo i confini di proprietà così che è possibile in certi casi ricostruire detti confini esaminando la presenza dei grossi esemplari della specie.

 

La Via Flaminia Vetus…tra età Romana e Medioevo

Km 6,5 – Fruibile in auto o bicicletta

L’itinerario che meglio descrive le peculiarità del territorio massetano, comprende l’area meridionale del  territorio comunale e si sviluppa, in parte, lungo il vecchio tracciato della Via Flaminia. Ilpercorso inizia dalla Chiesa di Santa Maria in Pantano, situata lungo il tracciato della Via Flaminia, nel luogo dell’antico Vicus Martis Tudertium, (del quale sono emerse numerose testimonianze durante recenti scavi archeologici iniziati nel 2008), divenuta poifulcro religioso nel periodo medioevale, si presenta oggi nella sua veste romanica, realizzata con conci di pietra calcarea rosa e bianca e travertino. Si prosegue poi a destra, salendo per il castello di Montignano, antico feudo degli Arnolfi, che conserva, quasi nella sua interezza, la struttura urbanistica medioevale, oggi in parte occupato da una struttura ricettiva. L’itinerario procede in direzione Villa S. Faustino, dove si trova uno dei centri benedettini della zona: dell'Abbazia di San Faustino, edificata sui ruderi di una villa romana; l’edificio, è oggi di proprietà privata. Le emergenze archeologiche più interessanti di questo tratto della Via Flaminia le troviamo però a conclusione dell’itinerario. Sono raggiungibili seguendo la strada comunale in direzione sud, fino a Massa Martana Scalo, da qui la segnaletica turistica permette di raggiungere i due siti di interesse, percorrendo una suggestiva strada di campagna. Si arriva così ad un luogo di fondamentale importanza storica in Umbria, le Catacombe Cristiane,, unico monumento del genere finora scoperto nella regione. Il cimitero sotterraneo è visitabile su prenotazione. Ultima tappa del percorso sarà il Ponte Fonnaia, che si può raggiungere anche a piedi, scendendo dalle Catacombe, e proseguendo a destra per un sentiero immerso nel verde; si arriva così alla poderosa costruzione viaria romana, realizzata in travertino; l’imponente opera romana è situata in un contesto ambientale di particolare pregio, circondato da un bosco ceduo di querce fra cui è presente anche la specie Farnetto. In questa area fino agli anni 50 del secolo scorso è stata attiva anche una miniera di lignite.

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APPROFONDIMENTI Itinerario n 1 

La Via Flaminia  La strada consolare, (la prima tra le Viae Publicae romane verso il Nord) realizzata dal censore Caio Flaminio nel 220 a.C, collegava Roma ai porti dell’Adriatico ed all’Italia del nord,attraversando nel suo tracciato originario da Narnia a Mevania la fascia pedemontana occidentale dei Monti Martani; rappresentò fin verso il VI sec. d.C una delle arterie più frequentate dell’Italia centrale. La Consolare fu costruita sfruttando ed adattando percorsi precedenti, anche molto antichi, legati alla transumanza e agli spostamenti dei popoli Umbri. Fu proprio in un luogo a diciotto miglia romane da Narni localizzabile nel sito dell’attuale chiesa di Santa Maria in Pantano, che fu costruita dai romani, probabilmente coeva alla via, la statio ad Martis da cui si sviluppò, ben presto, un centro abitato: il Vicus Martis, solidamente attestato in molte delle iscrizioni romane qui rinvenute.  Dal III sec. questo primo tracciato della Flaminia, nato come strada militare, iniziò a risentire della variante, realizzata per fini economici, che per Terni e Spoleto raggiungeva  Forum Flaminii, (nei pressi dell’attuale Foligno) e si ricongiungeva al vecchio tracciato Narniae-Carsulae-Mevania. I due tracciati si biforcavano proprio all’inizio della catena dei Monti Martani (aggirandola ad est e ad ovest) dopodichè la Flaminia vetus lasciato il centro di Carsulae, del quale ne costituiva il cardo, raggiungeva, passando per la Statio ad Martis- stazione di cambio, il Vicus Martis,  l’attuale Massa Martana. La vita e la prosperità del Vicus Martis furono strettamente legate alle sorti della Flaminia come dimostrano diversi resti epigrafici ed archeologici tra cui si segnalano due interessanti iscrizioni che ricordano importanti lavori di restauro della stessa via. La prima, oggi dispersa, si riferisce all’imperatore Antonino Pio, l’altra, conservata sotto l’arco della porta di Massa Martana, è dell’imperatore Adriano e fu trovata nei pressi della diruta chiesetta di San Giacomo, proprio lungo la via Flaminia.Dopo la caduta dell’Impero Romano, il tracciato occidentale della Flaminia fu abbandonato e decadde, ma la zona non rimase esclusa dal transito, (perché compresa tra il nuovo tracciato e la Via Amerina). Nel periodo altomedievale fu rilevante via di raccordo tra Roma e Ravenna e lo testimoniano i ruderi di Montecastro, probabilmente un tempio legato ad un culto umbro, poi diventato castrum in difesa della sottostante Via Flaminia. Molti sono i materiali di spoglio riutilizzati in tutta la zona, numerosi i colombari, rimasti a lungo sconosciuti e le chiese romaniche costruite sopra templi pagani dedicati agli dei Apollo, Cerere, Mercurio e Marte: proprio da quest’ultimo hanno preso nome i monti vicini e l’area circostante, ricca di frammenti di laterizi e ceramiche che continuamente vengono alla luce durante i  lavori agricoli.

Santa Maria in Pantano  Secondo una leggenda locale, la chiesa è stata edificata, nel V secolo dal magister militum Severo sui ruderi di un edificio o di un tempio pagano della Civitas Martana. Il basamento della chiesa, infatti risale, probabilmente ad un edificio tardo imperiale, del quale sono visibili le murature laterali in opus reticulatum con parti di mattoni, nella fiancata destra della chiesa. Molto più probabilmente la chiesa fu edificata ad unica, grande aula absidata tra il VII e il VIII secolo, aggiungendo all'edificio romano la parte presbiteriale e absidale, leggermente sopraelevate e con le murature in opus spicatum. Di notevole interesse architettonico è l'abside, scandita esternamente da ampie arcate che richiamano motivi in uso nell’area veneta. Annesso alla chiesa fu poi costruito un monastero, gestito dai monaci benedettini che bonificarono e resero fertile la località, spesso inondata dal torrente Tribbio, come chiaramente indica il toponimo in pantano. Alcuni documenti attestano che la  chiesa era alle dipendenze del monastero di Farfa, quindi ebbe sicuramente un ruolo politico notevole nell’area martana. La facciata della chiesa non è allineata con la strada moderna, bensì con il vecchio tracciato della Via Flaminia che corre più a destra; è arricchita da un portale ad arco acuto, in conci alternati bianchi e rossi con cornice marmorea, ed un semplice rosone che ne abbellisce la semplice struttura rettangolare. L’interno, molto sobrio, diviso in 3 navate da poderose colonne e capitelli di vario tipo;  conserva ancora frammenti di affreschi medioevali di scuola locale. Si possono ammirare urne cinerarie, frammenti decorativi romani e numerose iscrizioni. Notevoli il grande capitello corinzio riutilizzato come sostegno dell'ultima arcata di destra; i frammenti dell'antico pavimento a mosaico e ad opus spicatum, ritrovati in recenti lavori di restauro e il grande cippo con l'iscrizione che ricorda i Vicani Vici Martis riutilizzato come base per l'altare maggiore. Tra gli affreschi, quasi tutti di scuola locale, si segnalano quello sull'altare della navata destra Madonna con il Bambino tra Santa Barbara e Sant'Antonio Abate del XV secolo, opera di Niccolò di Vannuccio; sulla parete posteriore un affresco con raffigurati Sant'Antonio Abate, San Pietro, San Fortunato e Sant'Onofrio del XIV secolo; al centro dell'abside Madonna con il Bambino (sec. XIV-XV), al quale furono aggiunti posteriormente San Felice e San Benedetto. Sulla sinistra una Crocifissione con San Severo e San Francesco (sec. XVII). Uscendo dalla chiesa, merita un veloce sguardo la torre quadrata con coronamento ad archetti medioevali del XIV secolo, che si innalza a dominio della valle.  Altra testimonianza dell’insediamento romano, è una cisterna, individuata nel 1997, nei sotterranei di un fabbricato rurale sito nei pressi di Santa Maria in Pantano.  Si tratta di un ambiente costituito da due cunicoli lunghi circa m. 15, larghi m. 2 e alti m.3, raccordati da un cunicolo trasversale più o meno delle stesse dimensioni.

Curiosità: Se si osserva con attenzione il muro esterno dell'ex monastero, a sinistra della chiesa, si potrà notare, incastonata nel paramento murario e un po’ erosa dal tempo, un'urna funeraria romana, con un bassorilievo raffigurante il Sacrificio di Ifigenia, interessante iconografia diffusa all’epoca. Il mito racconta che i Greci erano radunati in Aulide da più di tre mesi, e per il persistere della bonaccia non si poteva salpare. Chiamarono l’indovino Calcante perchè gli dicesse che cosa si poteva fare. L’indovino gli ricordò che alcuni anni prima aveva offeso gravemente la dea Artemide: avendo trafitto con un bel colpo un cervo, si era vantato d'essere un cacciatore più bravo della dea stessa della caccia. E ora Artemide pretendeva, se si voleva far partire la flotta, che Agamennone le sacrificasse sull'altare la propria figlia Ifigenia. Bisognò far venire da Micene la bella Ifigenia: mentre il sacerdote immergeva già il coltello nel petto di ifigenia, l'altare venne circondato da una densa nebbia, e, quando questa si ritirò, invece del corpo insanguinato della giovinetta, sull’altare si trovo’ il corpo insanguinato di una cerbiatta.
Artemide aveva avuto pietà dell'intrepida ragazza e l'aveva sostituita con la cerbiatta, portando via ifigenia viva in Tauride, dove il re del luogo, Toante, la fece sacerdotessa della dea che l'aveva salvata. Ed ecco che subito sorse da terra un venticello che andò a mano a mano crescendo, e la flotta greca potè finalmente togliere gli ormeggi, spiegare le vele e salpare per la Troade.  Da sinistra, nel bassorilievo, si scorge una figura maschile nuda che tira a sé una figura con l'himation sul capo (forse Agamennone), poi un albero stilizzato, un uomo che tiene per i capelli una figura più piccola che fugge (forse Ifigenia), un'ara con dei simboli e tre guerrieri con lancia.

Curiosità: Poco distante da qui, seguendo il tracciato dell’antica Via Flaminia, in direzione Massa Martana, sorge un grande monumento funerario d’epoca romana, del quale resta soltanto l’ossatura centrale in calcestruzzo, a causa dei ripetuti scavi clandestini. Al Mausoleo infatti è legata un’antica leggenda, secondo la quale al suo interno sarebbe nascosto un prezioso tesoro composto da una mucca con sette vitelli d’oro, la leggenda è conosciuta in varie località della zona e rende questo luogo ricco di mistero e fascino, motivo per il quale molte volte è stata oggetto di scavi rocamboleschi! Nei pressi della costruzione è stata recentemente rimessa in luce una seconda tomba a edicola, della quale resta l’intero basamento in grossi blocchi di travertino.  

 

Vicus Martis Tudertium Intorno alla chiesa di S.Maria in Pantano, realizzata nei secoli VII-VIII  sfruttando un preesistente edificio romano del quale se ne conservano notevoli parti, si colloca il Vicus Martis Tudertium, attestato da numerose epigrafi provenienti da questa località e da identificare con la Statio ad Martis (stazione di posta) sulla Flaminia, ricordata nell’Itinerario dei vasi di Vicarello (I sec.), nell’Itinerario Antonino (II sec.) e nella Tabula Peutingeriana (V sec.); testimonianze certe della sua importanza per tutto il periodo imperiale; il vicus sorgeva presso una diramazione che collegava il percorso alla Via Amerina e quindi a Todi, costituendo un avamposto e uno scalo di Tuder sulla Flaminia, a cui infatti si richiama nel nome. Nonostante i numerosi indizi e ritrovamenti (da ricordare inoltre resti di un grande edificio a pianta rettangolare, con murature in opera quasi reticolata, inglobate nelle strutture della chiesa), l’area non è stata mai oggetto di indagini scientifiche. Nell’anno 2008, su concessione del Ministero dei Beni Culturali e sotto il controllo della Soprintendenza Archeologica dell’Umbria nella persona del dott. Paolo Bruschetti, sono iniziate le prime indagini, condotte da un gruppo di studenti americani della Drew University di Madison, New Jersey, guidati dal professor John Muccigrosso e coadiuvati dall’équipe di archeologi dell’impresa Intrageo di Todi. Le operazioni di scavo, hanno permesso di portare in luce una serie di edifici con un invidiabile stato di conservazione dei muri perimetrali, che dimostrano l’esistenza del vicus, (impianto abitativo, spesso di modesta entità situato intorno a snodi fondamentali di comunicazione) con dimensioni che coprono un’area di circa sette ettari.  

Curiosità: Da ricordare che le stazioni lungo le vie romane erano di tre tipi: le civitas, la mansiones e le mutationes: in queste ultime erano gli iunctores jumentarii per il cambio dei cavalli, e proprio nel vico Martano resta traccia di una rara epigrafe che documenta l’esistenza di un collegium jumentarii, corporazione destinata a questo  importante servizio.

 

Pietra Rosa di San Terenziano: Altra tipicità del territorio è la Pietra Rosa utilizzata per le costruzioni. Una pietra particolarmente pregiata usata per finiture, arredo urbano o complementi di interni. E' un'arte antica che si conserva nelle mani dei pochi scalpellini che ancora si tramandano il mestiere.  La scaglia rossa è una roccia sedimentaria marina costituita da calcari selciferi a grana fine, più o meno marnosi, di colore prevalentemente rossiccio che può passare al bianco, al giallo, al rosso cupo. La colorazione rossa deriva dalla dispersione nella massa calcarea di ossidi di ferro (limoniti ed ematiti); localmente alcune tinte biancastre possono essere dovute a decolorazione secondaria. I calcari della scaglia rossa presentano sempre una fitta stratificazione regolare e sono stati deposti tra i 90 e i 55 milioni di anni fa, nel Cretaceo superiore, e parzialmente nell'Eocene inferiore.

Rosso Ammonitico: Si tratta di calcari e calcari marnosi stratificati, con tessitura nodulare, caratterizzati generalmente (anche se non necessariamente) da una notevole frequenza di ammoniti fossili, e dal colore rosso o rosato (ma sono frequenti anche toni violacei e verdi) a causa dell'ossidazione del ferro (Fe3+). Per quanto in passato questo tipo di roccia sia stato spesso utilizzato come pietra da costruzione (in particolare quello proveniente dal Veronese e diffusissimo in tutta  Italia) attualmente la cavatura industriale del rosso ammonitico è soprattutto in funzione del suo utilizzo come pietra ornamentale, sia per interni che per esterni, per la bellezza delle sue sfumature, che vanno dal rosso-violaceo al rosa-corallo, al giallo e al verde. Gli impieghi prevalenti sono nel settore dei pavimenti, ma è utilizzato anche per l'assemblaggio di scale, rivestimenti, colonne, balaustre, stipiti, cornici, caminetti, lavori di scultura. L'utilizzo nell'edilizia dei calcari in facies di rosso ammonitico è legato al tenore in carbonato: più questo è elevato, più migliorano le caratteristiche meccaniche e soprattutto la lucidabilità.

Travertino:  Il travertino è una roccia sedimentaria calcarea di tipo chimico, molto utilizzata in edilizia, in particolare a Roma, fin dal I millennio a.C.. La differenza tra il deposito calcareo di tipo spugnoso e il banco di travertino è data sostanzialmente dalla conformazione geologica del terreno di formazione: il calcare è uno dei depositi più frequenti in natura essendo prodotto dalla precipitazione di Carbonato di calcio disciolto nell'acqua. Un ambiente continentale subaereo in cui la soluzione calcarea abbia avuto il tempo di ristagnare e sedimentarsi in un territorio pianeggiante, abbastanza vicina alla superficie da poter attraversare cicli di evaporazione e ri-sommersione, poco disturbata da acque sorgive o correnti, favorisce la formazione del travertino. Il colore del travertino dipende dagli ossidi che ha incorporato (cosa che accade abbastanza facilmente, essendo di sua natura una pietra abbastanza porosa). La colorazione naturale varia dal bianco latte al noce, attraverso varie sfumature dal giallo al rosso. È frequente incontrarvi impronte fossili di animali e piante.

 

Montignano  Il castello, che sorge poco distante da Santa Maria in Pantano, in posizione collinare, apparteneva al feudo degli Arnolfi, nei secoli X e XI, viene ricordato in un documento dell’abbazia di Farfa del 1115 come Poggio di Santa Maria in Pantano. Come molti altri borghi della zona, durante il XII fu sottomesso da Todi. Il castello presenta ancora una buona parte delle sue strutture medioevali: le mura, alcune torri angolari e la porta di accesso oltre la quale si trova la piccola chiesa di San Giovanni, che conserva una pregevole tela raffigurante la Madonna del Rosario opera di Bartolomeo Barbiani. Poco fuori del castello, si trovano i ruderi (le mura perimetrali e l'abside semicircolare in pietra squadrata) dell’antica chiesa di Santa Degna, documentata fin dal secolo XIII; di notevole interesse è il grande sarcofago di pietra che si trova dietro l'abside.

Curiosità: Nel 1577 Montignano e la sua tenuta furono devastati dal passaggio di alcune truppe mercenarie francesi, a seguito di questo drammatico episodio, il consiglio generale di Todi, decise di esentare i suoi cittadini dal pagamento di dazi e imposte, per quattro anni!!

 

 

Villa S. Faustino

Il castello di Villa San Faustino fece parte anch’esso, nei secoli X e XI delle terre Arnolfe (citato in documenti dell’abbazia di Farfa del 1115 e 1118). Il castello, connesso con l’importante pieve di San Faustino, nel secolo XIII fu inserito nei possedimenti del contado di Todi.

Curiosità: Nel giorno di San Faustino si svolgeva nell’ampia radura antistante la chiesa una grande fiera tanto che nello statuto di Todi del 1275 viene stabilito di inviare a questa festa un giudice dei "malefizi" con un notaio ed una scorta armata per garantire l’ordine pubblico, che spesso veniva meno in queste occasioni di festa.

 

Abbazia di San Faustino  L'abbazia di San Faustino, una delle più interessanti della zona, venne edificata sui ruderi di una villa romana, della quale recenti scavi hanno rivelato le fondazioni ed ambienti destinati alla lavorazione dei prodotti agricoli ad essa connessi. Costruita con materiale di recupero di edifici romani, presenta uniformità di struttura e di colore dovuta all’uso del travertino locale, materiale di costruzione anche del basamento della stessa chiesa.  La chiesa, dedicata a San Faustino, probabilmente discepolo e confessore del vescovo della Civitas Martana San Felice, e l'attiguo monastero, furono edificati dai monaci benedettini, sulla tomba del Santo. La facciata presenta un’architettura di stile lombardo, purtroppo alterato dalla recente costruzione del portico antistante; della struttura originaria resta una bella trifora con colonnine marmoree. In origine doveva avere il presbiterio sopraelevato con sottostante cripta. L'interno, ad unica navata, è molto rimaneggiato, al centro dell'abside sono interrati due sarcofagi, uno dei quali è venerato come quello di San Faustino. Tra i vari frammenti scultorei ed iscrizioni, è interessante, quella che ricorda il passaggio del pontefice Pio II nel dicembre del 1462. Si segnala all’interno un affresco del pittore aretino Sebastiano Florii raffigurante la Madonna del Rosario (1580). Recente è anche il campanile, che si eleva, con una struttura imponente, separato dalla chiesa; l’edificio attiguo, invece, che costituiva il complesso abbaziale, ha conservato la forma inconsueta di poderosa casa rurale. La semplicità della struttura rustica dimostra che, a differenza di altre abbazie benedettine, il complesso di S Faustino non riuscì ad affermare la propria potenza, in quanto dal sec. XI fu dipendente dall’Abbazia di Farfa.

Curiosità:Guardando attentamente la facciata, a destra della trifora si potrà notare un’epigrafe con l'iscrizione di Lucius Julius Marcianus e di sua moglie Publicia, di evidente riutilizzo romano, a sinistra un frammento di fregio dorico con metope a rosette e bucrani. Molti edifici della zona, sono stati costruiti utilizzando materiale di spoglio, proveniente dai preesistenti edifici romani; una pratica molto frequente in questa zona; reperti antichi si trovano inglobati anche nelle altre chiese e abbazie del massetano.

Catacombe   Nascoste tra campi di grano e casolari, si trovano le uniche catacombe cristiane in Umbria, costruite probabilmente dalla comunità cristiana del vicus, che si sviluppò molto presto (la leggenda agiografica di San Brizio indica il I-II secolo) e che fu senz’altro molto numerosa (nella Catacomba sono state individuate oltre 300 sepolture). Dal 1948 il nome  delle catacombe è legato alla memoria di San Faustino; proprio in quell’anno infatti vennero ritrovate, nella abbazia omonima poco distante da qui, le sue ossa.  Le catacombe, furono in parte interrate, dopo l’abbandono di questo tratto della Flaminia, e  rimasero sconosciute fino al ‘600; sappiamo da una lettera del nobile Giuseppe Mattei, di Todi, datata 1691, che il luogo viene nominato come “grotta traiana”, e la sua descrizione è alquanto suggestiva: “Si entra tra le fauci di un grande scoglio di travertino, bisognando alquanto curvarsi e portarsi anco il lume,perché si va al buio. Dentro, dopo che si è discesi, si trovano tre strade sotterranee tutte scavate con lo scalpello”…

Successivamente su questo luogo cadde nuovamente il silenzio fino al 1900 quando si tornò a parlare delle catacombe al Secondo Congresso di Archeologia Cristiana; l’importanza del sito emergerà grazie all’archeologo Giuseppe Sordini che lo indicherà come primo ed unico cimitero in Umbria. Nel 1940 iniziarono finalmente i lavori di scavo per recuperare il cimitero, interrotti solo dalla Seconda Guerra Mondiale, quando la catacomba fu utilizzata come rifugio antiaereo dagli abitanti della zona. La catacomba non è ha le dimensioni delle ben più note catacombe cristiane di Roma, ma presenta comunque una struttura articolata; è composta da un  corridoio principale discendente, lungo circa 25 metri ed alto fino a 4 metri; anticamente vi si accedeva con una ripida scala scavata nella roccia, oggi molto consumata e nascosta sotto la moderna scala di metallo. Dal corridoio centrale si dipartono simmetricamente quattro cunicoli laterali di diversa lunghezza. Le pareti dei cunicoli presentano file di loculi sovrapposti, di varie dimensioni, regolati sul corpo che vi si inumava. Si possono anche notare dei piccoli loculi, destinati alle sepolture dei bambini; molte sepolture  sono chiuse da lastre di marmo o tegoloni di terracotta; molte tombe, dette formae, sono scavate anche nel terreno. Numerosi  i graffiti con i simboli della croce, della palma e del pesce, legati alla figura di Cristo. Interessante un sarcofago scolpito a forma di toro che ha fatto avanzare l’ipotesi di un luogo dedicato al culto di Mitra, poi adattato a cimitero cristiano. Pochi i reperti archeologici ritrovati: singolare l’assenza di iscrizioni, attribuibile alla analfabetizzazione degli abitanti poiché si tratta di un ipogeo di campagna. Attigua alla catacomba è stata rinvenuta, nel 1997, grazie ai lavori avviati dalla Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, e condotti dalla Soprintendenza ai Beni Archeologici dell’Umbria, una piccola basilica, con orientamento ad est, pianta rettangolare ed abside semicircolare. Un edificio, probabilmente connesso alla vicina catacomba, e occupato da 19 sepolture di diverso tipo, scavate direttamente nella roccia; tra queste interessante anche la presenza di una tomba monumentale, con arcosolio in muratura, situata in prossimità dell’area absidale. I reperti ritrovati, lucerne di fattura grossolana, frammenti di ceramica e  monete, sono dello stesso periodo di quelli ritrovati nella catacomba; testimonianza quindi della contemporaneità del cimitero ipogeo e della soprastante basilica.  La presenza di tale complesso dimostra da un lato la precocità della diffusione del culto cristiano nell’area martana, dall’altro sottolinea il mantenimento di una notevole concentrazione demografica, sia pure di livelli socialmente modesti in tutta la zona. La catacomba fu ovviamente dimenticata quando questo tratto della via consolare perse di importanza, e fu gradatamente interrata dalle alluvioni rovinose del Naja. Solo nel 1600 si ebbe notizia della grotta Traiana, così detta o dal nome della locale famiglia Traia,o perché usata da Traiano quale via militare sotterranea; successivamente su questo luogo cadde il silenzio fino al 1900 quando si tornò a parlare delle catacombe al Secondo Congresso di Archeologia Cristiana.

Curiosità: Sul colle che sovrasta la catacomba si trovano i resti del basamento di un tempio pagano costruito con grossi blocchi squadrati, sul quale è addossata una moderna casa colonica. Nel secolo XIII il sito è documentato come fortilizio, con chiesa dedicata a Sant’Angelo, appartenente alla nobile famiglia dei Monticastri dalla quale discese fra Gian Bernardino Monticastri che, secondo alcune fonti storiche, avrebbe partecipato al primo viaggio di Cristoforo Colombo verso la scoperta del nuovo mondo. Si conserva, murata nella parete anche un’iscrizione che racconta la storia di questo personaggio.

 

Ponte Fonnaia Abbandonando la strada a scorrimento veloce si entra, quasi in punta di piedi, in una realtà rimasta indietro nel tempo. Immerso nel verde della vegetazione lussureggiante, poderoso e suggestivo, è il Ponte Fonnaia, del I sec. d.C., simbolo dell’antica Flaminia. Costruito per permettere alla Via Flaminia di attraversare il torrente Naja, fu realizzato in blocchi di travertino perfettamente squadrati ed ora si presenta nella veste assunta dopo i restauri d'epoca augustea (27 d.C.); è lungo 15 m, alto 8, con una sola arcata di 3,5 m a tutto sesto; presenta un intradosso obliquo per permettere alla strada soprastante di mantenere il suo asse geometrico. Sulla superficie interna dell’arcata i blocchi sono disposti in filari regolari, alternativamente per testa e per taglio, allo scopo di assicurare la migliore tenuta; i lati brevi dei singoli blocchi sono contrassegnati da lettere e numeri che indicano le sigle di cava. Da recenti analisi archeometriche (Vantaggi M., 2007) sui monumenti romani della zona si è notato che gli ingegneri romani prediligevano il travertino, (proveniente dalla limitrofa zona di S. Terenziano)..

Curiosità: I Romani usarono molto il travertino, in quanto facile sia da estrarre, sia da lavorare e resistente all’aggressione degli agenti atmosferici; questo materiale inoltre era visivamente gradevole e grazie al suo colore bianco latteo dava imponenza e maestosità alle opere, simulando il ben più prezioso marmo.

 

Il farnetto (Quercus frainetto Ten.) è un albero della famiglia delle Fagacee. Ha portamento maestoso che raggiunge i 25 m di altezza dopo una lentissima crescita. I giovani rami sono pelosi e la corteccia del tronco è grigio-bruno mentre negli esemplari adulti la corteccia è suddivisa in piccole squame rugose. Le foglie sono piuttosto lunghe (15/20 cm) e di un bel verde intenso. Le ghiande sono dolciastre, molto ricercate da ghiandaie e picchi.

La lignite  classificata nel commercio internazionale come Brown Coal, cioè carbone marrone, è un carbone “molto giovane”. Infatti, è composto da materiale organico, di origine vegetale, in corso di fossilizzazione in ambiente anaerobico, cioè privo di ossigeno. La lignite presente in Umbria si è formata in epoca plio-plestocenica; originato dalla crescita di piante lacustri sui resti delle preesistenti. In quel periodo, cioè da 5 a 1,7 milioni di anni fa, il Tevere non era ancora il fiume che conosciamo oggi e le acque del suo bacino si raccoglievano nel “lago Tiberino”. Nel quaternario, circa 1,7 milioni di anni fa, il lago formava la più vasta distesa d’acqua dell’Italia centrale; sul bacino che esso ha lasciato si trovano le principali miniere di lignite dell’Umbria. I depositi di questo lago sono formati da ciottoli e sabbie in alto e da argille in basso; tra queste, a livelli differenti, sono racchiusi banchi di lignite xiloide, in parte completamente legnosa, cioè costituita da tronchi di vegetali, e in parte torbacea scistosa, cioè formata essenzialmente dalle foglie delle stesse piante.

 

Andar per Castelli….tra storia e leggenda

9,2 Km – Itinerario fruibile in auto e in bici

Il percorso inizia con la visita del centro storico di Massa Martana, (Itinerario n° 3 : Un itinerario del silenzio nell’area Martana), da qui,  costeggiando un tratto della vecchia Flaminia, dove sorge la Chiesa di Santa Maria delle Grazie, si raggiunge la Chiesa di Santa Maria in Pantano, situata lungo il tracciato della Via Flaminia, nel luogo dell’antico Vicus Martis Tudertium, (del quale sono emerse numerose testimonianze durante recenti scavi archeologici condotti da un’equipe statunitense, in corso dal 2008), divenuta poifulcro religioso nel periodo medioevale, si presenta oggi nella sua veste romanica. Questo itinerario percorre la fascia pedemontana occidentale dei Monti Martani, caratterizzata da vegetazione tipica della vera macchia mediterranea, che raggiunge in questa zona il suo areale più interno. In questo ambiente naturalistico di pregio, si trovano alcuni borghi medioevali fortificati, confine tra Le Terre Arnolfe (Mezzanelli) e l’area Tuderte.  Dall’Abbazia di Santa Maria in Pantano, si prosegue in direzione sud la statale fino a raggiungere il bivio per Colpetrazzo; da qui il percorso, molto suggestivo, permette di raggiungere Torre Lorenzetta, con la pieve romanica di San Sebastiano; Colpetrazzo, che mantiene la sua conformazione urbanistica medioevale, e a dominio di una delle porte del borgo, l’aquila tuderte, emblema del Comune di Todi. Si raggiunge, infine Mezzanelli, situato in posizione strategica, come dimostrano i ruderi della Rocca medioevale, nella parte più alta del colle, lungo le pendici di Monte il Cerchio. Quest’ultimo, Sito di Importanza Comunitaria, denominato “Monte il Cerchio”, è caratterizzato da una vegetazione tipica della Macchia Mediterranea e di bosco ceduo (Leccio, Bosso, Corbezzolo, Orniello, Carpino nero, Roverella, Cerro e Ginepro).

 

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APPROFONDIMENTI Itinerario n 2

 

Santa Maria delle Grazie

La chiesa di Santa Maria delle Grazie sorge ancora una volta in prossimità dell’antico tracciato della Via Flaminia. La struttura attuale, che risale alla fine del '400 fu realizzata, sfruttando un preesistente edificio come suggeriscono numerosi materiali architettonici del 1200, riutilizzati nella costruzione attuale.
La facciata attuale che si affaccia sull’antico tracciato della Via Flaminia, mostra una struttura rettangolare, in pietre di varie dimensioni, con un raffinato oculo ed un campanile a vela.
L'interno, ad una sola navata, presenta sull'altare la Madonna con il Bambino fra angeli, opera di un maestro anonimo chiamato Maestro dell'Incoronazione della prima metà del XV sec., nella tribuna, invece sono conservati interessanti affreschi di scuola umbra della prima meta del '500:  l'Adorazione dei Magi, l'Annunciazione, Cristo fra gli Apostoli, la Morte della Madonna, S. Francesco e altri Santi. Era conservata qui, inoltre, una preziosa statua lignea di Sant'Antonio Abate, risalente al 1484; la statua è stata restaurata e si trova oggi nella Chiesa di San Felice.

Curiosità: Il culto di S. Antonio Abate è molto diffuso in Umbria, soprattutto in zone a vocazione agricola, come l’area di Massa Martana. Secondo fonti agiografiche, Sant’Antonio, nacque a Coma in Egitto, intorno al 251, da ricchi agricoltori cristiani. E’ considerato un eremita tra i più rigorosi nella storia del Cristianesimo antico: malgrado appartenesse ad una famiglia piuttosto agiata, mostrò sin da giovane poco interesse per le lusinghe e per il lusso della vita mondana: alle feste ed ai banchetti infatti preferiva il lavoro e la meditazione e alla morte dei genitori distribuì tutte le sue sostanze ai poveri, si ritirò nel deserto e li cominciò la sua vita di penitente.
Compiuta la sua scelta di vivere come eremita, trascorse molti anni vivendo in un'antica tomba scavata nella roccia, lottando contro le tentazioni del demonio, che molto spesso gli appariva per mostrargli quello che avrebbe potuto fare se foste rimasto nel mondo. A volte il diavolo si mostrava sotto forma di bestia feroce - soprattutto di porco - allo scopo di spaventarlo, ma a queste provocazioni Antonio rispondeva con digiuni e penitenze di ogni genere, riuscendo sempre a trionfare. Ecco perché lo troviamo spesso raffigurato con un maialino. 
Malgrado conducesse una vita dura e piena di privazioni, Antonio fu molto longevo: la morte lo colse infatti all'età di 105 anni, il 17 Gennaio del 355, nel suo eremo sul monte Qolzoum.
I riti che si compiono ogni anno in occasione della festa di S. Antonio sono antichissimi e legati strettamente alla vita contadina e fanno di Antonio Abate un vero e proprio "santo" del popolo.
Egli è considerato il protettore contro le epidemie di certe malattie, sia dell'uomo, sia degli animali. E' stato invocato come protettore del bestiame e la sua effigie era collocata sulla porta delle stalle, molti esempi di questa pratica si trovano anche nella zona di Massa Martana.
Il Santo è invocato anche per scongiurare gli incendi, e non a caso il suo nome è legato ad una forma di herpes nota come "fuoco di Sant'Antonio" o "fuoco sacro".

Santa Maria in Pantano Secondo una leggenda locale, la chiesa è stata edificata, nel V secolo dal magister militum Severo sui ruderi di un edificio o di un tempio pagano della Civitas Martana. Il basamento della chiesa, infatti risale, probabilmente ad un edificio tardo imperiale, del quale sono visibili le murature laterali in opus reticulatum con parti di mattoni, nella fiancata destra della chiesa. Molto più probabilmente la chiesa fu edificata ad unica, grande aula absidata tra il VII e il VIII secolo, aggiungendo all'edificio romano la parte presbiteriale e absidale, leggermente sopraelevate e con le murature in opus spicatum. Di notevole interesse architettonico è l'abside, scandita esternamente da ampie arcate che richiamano motivi in uso nell’area veneta. Annesso alla chiesa fu poi costruito un monastero, gestito dai monaci benedettini che bonificarono e resero fertile la località, spesso inondata dal torrente Tribbio, come chiaramente indica il toponimo in pantano. Alcuni documenti attestano che la  chiesa era alle dipendenze del monastero di Farfa, quindi ebbe sicuramente un ruolo politico notevole nell’area martana. La facciata della chiesa non è allineata con la strada moderna, bensì con il vecchio tracciato della Via Flaminia che corre più a destra; è arricchita da un portale ad arco acuto, in conci alternati bianchi e rossi con cornice marmorea, ed un semplice rosone che ne abbellisce la semplice struttura rettangolare. L’interno, molto sobrio, diviso in 3 navate da poderose colonne e capitelli di vario tipo;  conserva ancora frammenti di affreschi medioevali di scuola locale. Si possono ammirare urne cinerarie, frammenti decorativi romani e numerose iscrizioni. Notevoli il grande capitello corinzio riutilizzato come sostegno dell'ultima arcata di destra; i frammenti dell'antico pavimento a mosaico e ad opus spicatum, ritrovati in recenti lavori di restauro e il grande cippo con l'iscrizione che ricorda i Vicani Vici Martis riutilizzato come base per l'altare maggiore. Tra gli affreschi, quasi tutti di scuola locale, si segnalano quello sull'altare della navata destra Madonna con il Bambino tra Santa Barbara e Sant'Antonio Abate del XV secolo, opera di Niccolò di Vannuccio; sulla parete posteriore un affresco con raffigurati Sant'Antonio Abate, San Pietro, San Fortunato e Sant'Onofrio del XIV secolo; al centro dell'abside Madonna con il Bambino (sec. XIV-XV), al quale furono aggiunti posteriormente San Felice e San Benedetto. Sulla sinistra una Crocifissione con San Severo e San Francesco (sec. XVII). Uscendo dalla chiesa, merita un veloce sguardo la torre quadrata con coronamento ad archetti medioevali del XIV secolo, che si innalza a dominio della valle.  Altra testimonianza dell’insediamento romano, è una cisterna, individuata nel 1997, nei sotterranei di un fabbricato rurale sito nei pressi di Santa Maria in Pantano.  Si tratta di un ambiente costituito da due cunicoli lunghi circa m. 15, larghi m. 2 e alti m.3, raccordati da un cunicolo trasversale più o meno delle stesse dimensioni.

Curiosità: se si osserva con attenzione il muro esterno dell'ex monastero, a sinistra della chiesa, si potrà notare, incastonata nel paramento murario e un po’ erosa dal tempo, un'urna funeraria romana, con un bassorilievo raffigurante il Sacrificio di Ifigenia, interessante iconografia diffusa all’epoca. Il mito racconta che i Greci erano radunati in Aulide da più di tre mesi, e per il persistere della bonaccia non si poteva salpare. Chiamarono l’indovino Calcante perchè gli dicesse che cosa si poteva fare. L’indovino gli ricordò che alcuni anni prima aveva offeso gravemente la dea Artemide: avendo trafitto con un bel colpo un cervo, si era vantato d'essere un cacciatore più bravo della dea stessa della caccia. E ora Artemide pretendeva, se si voleva far partire la flotta, che Agamennone le sacrificasse sull'altare la propria figlia Ifigenia. Bisognò far venire da Micene la bella Ifigenia: mentre il sacerdote immergeva già il coltello nel petto di ifigenia, l'altare venne circondato da una densa nebbia, e, quando questa si ritirò, invece del corpo insanguinato della giovinetta, sull’altare si trovo’ il corpo insanguinato di una cerbiatta. Artemide aveva avuto pietà dell'intrepida ragazza e l'aveva sostituita con la cerbiatta, portando via ifigenia viva in Tauride, dove il re del luogo, Toante, la fece sacerdotessa della dea che l'aveva salvata. Ed ecco che subito sorse da terra un venticello che andò a mano a mano crescendo, e la flotta greca potè finalmente togliere gli ormeggi, spiegare le vele e salpare per la Troade.  Da sinistra, nel bassorilievo, si scorge una figura maschile nuda che tira a sé una figura con l'himation sul capo (forse Agamennone), poi un albero stilizzato, un uomo che tiene per i capelli una figura più piccola che fugge (forse Ifigenia), un'ara con dei simboli e tre guerrieri con lancia.

Curiosità: Poco distante da qui, seguendo il tracciato dell’antica Via Flaminia, in direzione Massa Martana, sorge un grande monumento funerario d’epoca romana, del quale resta soltanto l’ossatura centrale in calcestruzzo, a causa dei ripetuti scavi clandestini. Al Mausoleo infatti è legata un’antica leggenda, secondo la quale al suo interno sarebbe nascosto un prezioso tesoro composto da una mucca con sette vitelli d’oro, la leggenda è conosciuta in varie località della zona e rende questo luogo ricco di mistero e fascino, motivo per il quale molte volte è stata oggetto di scavi rocamboleschi! Nei pressi della costruzione è stata recentemente rimessa in luce una seconda tomba a edicola, della quale resta l’intero basamento in grossi blocchi di travertino.   

 

Vicus Martis Tudertium Intorno alla chiesa di S.Maria in Pantano, realizzata nei secoli VII-VIII  sfruttando un preesistente edificio romano del quale se ne conservano notevoli parti, si colloca il Vicus Martis Tudertium, attestato da numerose epigrafi provenienti da questa località e da identificare con la Statio ad Martis (stazione di posta) sulla Flaminia, ricordata nell’Itinerario dei vasi di Vicarello (I sec.), nell’Itinerario Antonino (II sec.) e nella Tabula Peutingeriana (V sec.); testimonianze certe della sua importanza per tutto il periodo imperiale; il vicus sorgeva presso una diramazione che collegava il percorso alla Via Amerina e quindi a Todi, costituendo un avamposto e uno scalo di Tuder sulla Flaminia, a cui infatti si richiama nel nome. Nonostante i numerosi indizi e ritrovamenti (da ricordare inoltre resti di un grande edificio a pianta rettangolare, con murature in opera quasi reticolata, inglobate nelle strutture della chiesa), l’area non è stata mai oggetto di indagini scientifiche. Nell’anno 2008, su concessione del Ministero dei Beni Culturali e sotto il controllo della Soprintendenza Archeologica dell’Umbria nella persona del dott. Paolo Bruschetti, sono iniziate le prime indagini, condotte da un gruppo di studenti americani della Drew University di Madison, New Jersey, guidati dal professor John Muccigrosso e coadiuvati dall’équipe di archeologi dell’impresa Intrageo di Todi. Le operazioni di scavo, hanno permesso di portare in luce una serie di edifici con un invidiabile stato di conservazione dei muri perimetrali, che dimostrano l’esistenza del vicus, (impianto abitativo, spesso di modesta entità situato intorno a snodi fondamentali di comunicazione) con dimensioni che coprono un’area di circa sette ettari. 

Curiosità: Da ricordare che le stazioni lungo le vie romane erano di tre tipi: le civitas, la mansiones e le mutationes: in queste ultime erano gli iunctores jumentarii per il cambio dei cavalli, e proprio nel vico Martano resta traccia di una rara epigrafe che documenta l’esistenza di un collegium jumentarii, corporazione destinata a questo  importante servizio.

 

Le Terre Arnolfe Con il termine Terre Arnolfe si designa una suddivisione storica dell'Umbria, localizzata prevalentemente sulle colline e sui monti Martani, nell’area tra Montecastrilli, Acquasparta, Avigliano Umbro. L'antica capitale era costituita dal paese di Cesi; il nome deriva dai discendenti di Arnolfo che divennero vassalli della chiesa e feudatari di questo territorio, che prese quindi da loro il nome di Terre Arnolfe: queste terre infatti passarono dalla dominazione imperiale, sotto l’imperatore Enrico II, ultimo re di Germania, alla Chiesa. Papa Innocenzo III nel 1199, vi nominò anche il primo Rettore, il chierico Roberto Malvano, direttamente soggetto alla Sede Apostolica. Molti castelli del territorio martano, furono per un periodo sotto la giurisdizione delle Terre Arnolfe, per poi passare, in molti casi, sotto il dominio del ben più potente Comune di Todi.

 

 

 

Torre Lorenzetta Il borgo di Torre Lorenzetta, fu centro fortificato importante dell’area martana, alle dipendenze della parrocchia di Villa San Faustino sino al 1806, quando fu aggregato a quella di Colpetrazzo.  Anticamente era chiamato Poggio di S. Martino, e solo dal XV secolo prese il nome del proprietario Lorenzo di Giovanni Covitti, cambiando nome in Torre Lorenzetto. Il borgo, anche se in parte modificato dal punto di vista urbanistico, mantiene ancora alcuni edifici originali: poco fuori dal centro abitato è di notevole interesse la la piccola chiesa di San
Sebastiano, risalente al XIII secolo, con graziosa abside. Ad una sola navata, ospita qualche affresco quattrocentesco di scuola locale: un San Sebastiano tra l'Annunciata e la Madonna col Bambino  e l'Angelo Annunciante con San Fortunato. La chiesa ha subito gravi danni in seguito al terremoto del maggio del 1997, è stata però restaurata e mostra oggi l’antico fascino romanico.

 

 



 

 

Colpetrazzo  Castello costruito tra la fine del 1300 ed i primi anni del 1400, conserva ancora intatta la sua struttura medioevale. Di notevole interesse la porta d’ingresso, oltre la quale si trova la piccola chiesa di San Bernardino, antica parrocchiale del castello. Sopra la chiesa di San Bernardino merita una visita l'antica sala della confraternita del Santissimo Sacramento interamente decorata con un prezioso ciclo di affreschi votivi del XV e XVI secolo. Appena fuori dalle mura castellane si trova la chiesa parrocchiale, dedicata ai Santi Giuseppe e Bernardino, edificata nel secolo XVI in sostituzione della più antica chiesa di San. Bernardino, ritenuta piccola e collocata in posizione scomoda per l'accesso dei fedeli; che conserva alcune tele del 1600 attribuibili a pittori umbri dell’epoca.

 

 

 

Mezzanelli  Il castello di Mezzanelli , che sorge in posizione strategica, ha seguito le sorti dei vari dominatori che ne hanno gestito la vita politica; un tempo parte del feudo degli Arnolfi, il castello è stato citato in alcuni documenti del 1115 e 1118 con i quali i conti Ridolfo, Saraceno, Guillelmus, Hugolino, Tebaldo e Bulgarello cedevano parte di Mezzanelli e di altri loro possedimenti all’abate Beraldo di Farfa. Appartenne poi ai conti di Baschi quindi passò in parte sotto il dominio dei duchi Cesi. Situato in posizione ottinale fu più volte assalito da Spoleto e da Todi nel corso delle lotte tra guelfi e ghibellini. Subì distruzioni nel 1447 e nel 1451. Nel 1467 fu restaurato con il concorso di tutti i suoi abitanti che per l’occasione si autotassarono. Nel 1500 circa fu nuovamente assalito dalle truppe del papa Alessandro VI che distrussero la rocca. Quest’ultima, rimane ancora a dominio del borgo, e conserva una vistosa torre in pietra e le mura perimetrali; si può raggiungere con una piacevole passeggiata che sale dal borgo fino alla cima del colle, dove, immersi in un contesto paesaggistico molto suggestivo, appaiono i resti della struttura fortificata.  Proprio nella parte più alta del borgo, si trova la chiesa parrocchiale di San Filippo e San Giacomo che conserva un pregevole affresco raffigurante la Madonna del Rosario.

Curiosità: Tra il X e l’XI secolo si diffuse in Europa un fenomeno nuovo e destinato ad avere conseguenze di grande portata: l’incastellamento. L’assenza di un forte potere centrale e le nuove invasioni di Saraceni, Normanni, Ungari, gettarono il vecchio continente in una situazione di profonda insicurezza. I centri abitati furono costretti a ripensare la loro forma e organizzazione, dotandosi di strumenti in grado di rispondere all’impellente necessità di difesa. I borghi furono fortificati e si trasformarono in castelli, da intendersi pertanto non come fortezze militari ma come luoghi dove viveva stabilmente una comunità di persone. L’elemento identificativo di un castello, che generalmente sorgeva in posizione elevata, erano innanzitutto le mura, in grado di raggiungere spessori di 2-3 metri. Alte e possenti, erano concluse alla sommità da camminamenti e dalla caratteristica merlatura che consiste in un’alternanza di pieni e vuoti funzionale ad assicurare la protezione dei soldati dagli attacchi degli arcieri. Le merlature si distinguono in ghibelline o imperiali, quelle che presentano sommità a coda di rondine, e guelfe o papali, quelle a corpi quadrati. Le mura, che oltre ad assicurare la difesa militare generavano un sentimento d’identità e unità collettiva, si arricchivano di possenti torri, la principale delle quali era il cosiddetto mastio. Altro elemento fondamentale di un castello erano i fossati che, circondando le mura, mantenevano il nemico a distanza; potevano essere superati tramite ponti fissi in muratura o ponti levatoi in legno, sollevati in caso di pericolo. La gente viveva all’interno del castello e, nel caso di realtà di particolarmente popolose, la struttura divenne più complessa sino a contemplare chiese e piazze.

Il leccio: (Quercus ilex L.1753) detto anche elce, è una pianta della famiglia delle Fagaceae, diffusa nei paesi del bacino del Mediterraneo.

l leccio è generalmente un albero sempreverde con fusto raramente dritto, singolo o diviso alla base, di altezza fino a 20-25 metri. Può assumere aspetto cespuglioso qualora cresca in ambienti rupestri.

La corteccia è liscia e grigia da giovane, col tempo diventa dura e scura quasi nerastra, finemente screpolata in piccole placche persistenti di forma quasi quadrata.

I giovani rami dell'anno sono pubescenti e grigi, ma dopo poco tempo diventano glabri e grigio- verdastri.

Le gemme sono piccole, tomentose, arrotondate con poche perule.

Il Bosso: genere delle Buxaceae, arbusto cespuglioso sempreverde, ramoso compatto con fusto rami e legno giallastro, pianta moderatamente velenosa, foglie generalmente opposte picciolate o sessili, ellissoidali, coriacee di colore verde più o meno scuro e lucente, fiori monoici piccoli sessili, i frutti sono capsule coriacee con pochi semi oblunghi. Si trova spontaneo in luoghi rocciosi, aridi anche calcarei, in Europa, Asia e Africa.

Corbezzolo: Il corbezzolo (Arbutus unedo L., 1753), detto anche albatro, è un cespuglio o un piccolo albero appartenente alla famiglia delle Ericaceae. I frutti maturano nell'anno successivo rispetto alla fioritura che dà loro origine, in autunno. La pianta si trova quindi a ospitare contemporaneamente fiori e frutti maturi, cosa che la rende particolarmente ornamentale, per la presenza sull'albero di tre vivaci colori: il rosso dei frutti, il bianco dei fiori e il verde delle foglie.

Curiosità: Il poeta Giovanni Pascoli dedicò al corbezzolo una poesia. In essa si fa riferimento al passo dell'Eneide in cui Pallante, ucciso da Turno, era stato adagiato su rami di corbezzolo; il poeta vide nei colori di questa pianta una prefigurazione della bandiera italiana e considerò Pallante il primo martire della causa nazionale.

« O verde albero italico, il tuo maggio

è nella bruma: s'anche tutto muora,

tu il giovanile gonfalon selvaggio

spieghi alla bora »

 

Nel Risorgimento il corbezzolo, proprio a causa dei colori che assume in autunno, uguali a quelli della bandiera nazionale, era considerato un simbolo del tricolore.

 

L’Orniello: Fraxinus ornus è una pianta della famiglia delle Oleaceae, (conosciuto come Orniello o Orno e chiamato volgarmente anche frassino da manna o albero della manna nelle zone di produzione della manna) è un albero o arbusto di 4-8 metri di altezza, spesso ridotto a cespuglio,

Ha tronco eretto, leggermente tortuoso, con rami opposti ascendenti con corteccia liscia grigiastra, opaca, gemme rossicce tomentose; la chioma ampia è formata da foglie caduche opposte, imparipennate, con 5-9 segmenti (più spesso 7), di cui i laterali misurano 5-10 cm, si presentano ellittici o lanceolati, brevemente picciolati e larghi un terzo della loro lunghezza. Il segmento centrale, invece, si presenta largo circa la metà della sua lunghezza ed è obovato; la faccia superiore è di un bel colore verde, mentre quella inferiore è più chiara e pelosa lungo le nervature. Le infiorescenze sono a forma di pannocchie, generalmente apicali e ascellari; i fiori generalmente ermafroditi e profumati, con un breve pedicello, possiedono un calice campanulato con quattro lacinie lanceolate e diseguali di colore verde-giallognolo; la corolla ha petali bianchi leggermente sfumati di rosa, lineari, di 5-6 mm di lunghezza. Il frutto è una samara oblunga, cuneata alla base, ampiamente alata all'apice, lunga 2-3 cm e con un unico seme compresso di circa un centimetro.

Il carpino nero: (Ostrya carpinifolia) è un albero della famiglia delle Betulaceae. Il carpino nero ha tronco dritto e chioma raccolta e un po' allungata; le sue foglie sono a forma ovale, allungate e con il bordo seghettato; la nervatura principale è molto evidente. I frutti sono acheni a grappolo di colore bianco/verde. Il Carpino nero, in Italia, si trova nelle fasce medie delle colline in posizioni mediamente soleggiate. La formazione forestale nella quale il Carpino nero risulta nel suo optimum è l'Orno-ostrietum, vale a dire in associazione con l'Orniello (Fraxinus ornus). Tale associazione (di cui l'Orniello e il Carpino sono le specie rappresentative) è tipica della "vegetazione illirica", ben rappresentata in Italia. Ha esigenze idriche superiori a quelle della roverella, predilige i suoli calcarei e marnosi, teme il ristagno idrico, ma sopporta i terreni argillosi.

Il cerro: (Quercus cerris L.) è un albero a foglie caduche appartenente alla famiglia delle Fagaceae. È una specie che tende a sviluppare una chioma sino ad una altezza di 30-35 m. Il cerro ha foglie di colore verde scuro dal margine con profonde lobature. Il tronco ha corteccia grigio-brunastra con profonde solcature rossicce (il felloderma si rende infatti visibile). I frutti sono ghiande di circa 2,5 cm di lunghezza, caratteristiche per il "cappuccio" che le copre parzialmente ricoperto di una sortadi peluria riccioluta, di colore giallino chiaro. La propagazione avviene tramite ghiande la cui maturazione fisiologica si completa in due anni.

La Roverella: (Quercus pubescens, Willd. 1805), è la specie di quercia più diffusa in Italia, tanto che in molte località è chiamata semplicemente quercia. Appartiene alla famiglia delle Fagaceae. Resistente all'aridità, è facilmente riconoscibile d'inverno in quanto mantiene le foglie secche attaccate ai rami a differenza delle altre specie di querce. Il principale carattere diagnostico per identificare la specie è quello di sentire al tatto le foglie o le gemme: sono ricoperte da una fine peluria che si può facilmente apprezzare. Generalmente venivano lasciate delle piante di quercia lungo i confini di proprietà così che è possibile in certi casi ricostruire detti confini esaminando la presenza dei grossi esemplari della specie.

 

Un itinerario del silenzio nell’area Martana

14  km - Itinerario fruibile in auto e in bici

L’itinerario, di grande interesse storico-artistico, con partenza dal centro storico di Massa Martana, interessa la porzione settentrionale del territorio comunale e permette di individuare i numerosi centri di potere ecclesiastico che caratterizzavano nel periodo medioevale l’area di Massa Martana. Una breve visita del centro storico di Massa Martana, con i suoi monumenti, realizzati in pietra calcarea locale, e vicoli medioevali,  apre l’ itinerario che avrà come filo conduttore la storia e l’arte del territorio. Il circuito ha uno sviluppo ad anello: dall’ingresso principale di Massa Martana si prende la statale in direzione Sud, girando poi a destra in direzione Todi; si raggiunge così la prima tappa dell’itinerario: l’antico il Convento di San Pietro sopra le acque, inserito in un bellissimo contesto paesaggistico, ed oggi struttura ricettiva di pregio. Si riprende la provinciale e si prosegue in direzione Todi, fino a località Cimacolle, poi in direzione Viepri, e dopo 1 km, si raggiunge la pregevole Abbazia di SS Fidenzio e Terenzio, situata sulla destra, lungo il percorso, quasi nascosta dalla vegetazione e da un grazioso vigneto, (struttura privata, visitabile su richiesta). Sede di una comunità di monaci benedettini fino alle fine del 1300, fu pieve importante con alle sue dipendenze molte chiese e castelli. Si riprende la provinciale, e per circa 1,9 km m e si devia a destra per , caratteristico borgo medioevale, feudo dei conti Arnolfi, con la sua cinta muraria ben conservata  e la parrocchiale di San Sebastiano. Lasciato Castel Rinaldi, si rientra poi a Massa Martana, facendo una sosta alla Chiesa di Santa Maria della Pace, edificio rinascimentale di grande pregio.

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APPROFONDIMENTI Itinerario n 3 

Massa Martana  Antico borgo medievale di incantevole fascino, sorge in un contesto  ambientale di grande rilevanza e di forte impatto visivo. Protetta dalle montagne circostanti che sembrano disegnare un anfiteatro naturale, il castello si presenta chiuso dalle possenti mura della fine del XIII secolo. Garanzia di sicurezza ma anche espressione di prestigio, la cinta muraria si arricchisce dei caratteristici bastioni e di porte che assicuravano accesso al borgo. L’ingresso principale, dalle forme monumentali, presenta incastonate sul lato destro una serie di stemmi e pietre incise. Tra queste, compare l’iscrizione romana che ricorda il restauro della via Flaminia fatto eseguire dall’Imperatore Adriano mentre, per quanto riguarda gli stemmi, interessante quello della nobile famiglia Fonzi e quello di Massa Martana con un fiore a cinque petali e la mezzaluna. Varcata la porta, si entra nella piazza principale del borgo, Piazza Umberto I, piuttosto ampia e regolare, definita da alcuni degli edifici più rappresentativi della sua identità storica e culturale. Tra questi emerge  la chiesa di San Felice, dedicata al patrono della cittadina, vescovo e martire dell'antica Civitas Martana. L’edificio sacro è il frutto di molteplici rifacimenti e restauri compiuti nel corso dei secoli, l'ultimo dei quali è seguito agli ingenti danni causati da un bombardamento aereo avvenuto nel corso della seconda guerra mondiale.

La facciata, rivestita di blocchi di pietra squadrata, è ripartita in quattro grandi riquadri conclusi in alto da un cornicione e da una finta balaustra, da dove si eleva il barocco campanile, eretto nel 1637.Le linee pure ed eleganti del portale introducono nell’ampio interno, con una sola navata coperta da volta a botte. Conferiscono un leggero senso di animazione alla solidità architettonica della chiesa, la serie di arcate che scandiscono le pareti e i robusti pilastri che le sostengono. L’altare maggiore, di scenografico gusto barocco, è arricchito da imponenti sculture lignee e della tela del pittore Giacinto Boccanera da Leonessa, datata 1723, raffigurante la Madonna reggente l’ostensorio tra il Beato Ruggero, San Felice, Santa Rita e San Pio V.
Nella parete a sinistra dell’entrata, entro due grandi nicchie, sono conservati affreschi del XVI secolo: il primo rappresenta una Crocifissione, il secondo una Madonna in trono con il Bambino tra San Rocco e Sant'Ambrogio, di scuola umbra del XV sec. Lungo la parete destra della navata è possibile accedere ad un ambiente molto interessante, che, esternamente è riferibile al torrione delle mura castellane. Nel Rinascimento infatti questo torrione angolare venne praticamente inglobato nell’area presbiteriale della Chiesa di San Felice. Forse si tratta dell’antica cappella di Santa Maria, utilizzata come luogo devozionale, e poi adibita ad Oratorio del SS Sacramento, in uso già dal 1606. Entrando nell’ambiente si è immersi in un’atmosfera di grande suggestione, tutte le pareti sono infatti decorate con interessanti affreschi del XV e de XVII, oggetto di recenti  campagne di restauro. Di particolare pregio, è l’altare, decorato, nello spazio sopra al tabernacolo con la scena della Madonna del Carmelo, (la data indica 1542) nella quale si nota l’umanità e il rapporto colloquiale tra la Vergine e Gesù. La scena è circondata da una decorazione molto scenografica di paraste con eleganti candelabre, angeli e le figure dei confratelli, vestiti dell’abito rosso con cappuccio. Ad arricchire il tutto, decorazioni all’antica con elementi floreali ed ovuli. Il messaggio teologico è ovviamente in perfetta sintonia con i dettami della Controriforma. Non si conosce l’autore, ma data la vicinanza con l’ambiente culturale tuderte, si può pensare a Pietro Paolo Sensini, collaboratore del ben più noto Ferraù Faenzoni, per le affinità stilistiche con altre opere dell’artista lasciate nella zona.

Da notare anche l’immagine di una Madonna in trono con bambino, tra San Sebastiano e San Bernardino da Siena e un’Annunciazione, del XV sec.

In piazza Umberto I, di fronte alla chiesa di San Felice e dietro al monumento ai caduti, due lapidi ricordano la sosta di Anita e Giuseppe Garibaldi a Massa Martana e sono state murate sulla facciata dell’elegante palazzo che li ospitò nel 1849. Lasciato la piazza, il borgo si svela in tutto il suo fascino, regalando suggestivi scorci e ampie vedute sul territorio circostante. Un dedalo di vicoli si dipana infatti nel centro storico di questo castello, svelando la sua caratteristica configurazione urbanistica medievale e un tessuto edilizio da ascrivere in gran parte al XVI e XVII secolo, segno evidente della stagione di prosperità vissuta all’epoca dal borgo, quando erano presenti anche un ospedale e un’accademia letteraria. Lungo via Regina Margherita, la principale della cittadina, quasi nascosta dalla sobria eleganza dei palazzi che vi si affacciano, si trova la chiesa di San Sebastiano, sede dell’omonima confraternita documentata fin dal secolo XV. L’edificio, integralmente restaurato alla fine del ‘500, conserva al suo interno un barocco altare ligneo che inquadra lo stendardo opistografo dipinto da Pietro Paolo Sensini nel 1595, raffigurante la Madonna con il Bambino tra San Felice e San Sebastiano sul lato verso i fedeli e Gesù Cristo in croce fra due confratelli sul lato retrostante.
Ai lati dell'altare si trovano due interessanti statue lignee policrome raffiguranti San Giovanni Evangelista e San Sebastiano,riferibili al XVIII secolo. Di fronte all’edificio sacro si eleva la mole del palazzo comunale, costruito nella seconda meta del XVI secolo sul sito dell’antico ospedale di Sant'Antonio, documentato sin dal XIV secolo. L’aspetto attuale dell’edificio pubblico, riconoscibile dalla caratteristica torre campanaria, è derivato dagli interventi di restauro compiuti alla fine del XIX secolo.  Seriamente danneggiata dal terremoto del maggio 1997, Massa Martana ha chiuso la pagina più dolorosa della sua storia recente vincendo una sfida molto difficile. Grazie ad una complessa e sapiente opera di ricostruzione e riqualificazione, in quindici anni di duro lavoro, il borgo ha saputo integrare perfettamente quanto di nuovo è entrato a far parte del suo antico tessuto urbano - l’azzurro, il rosa, il giallo e gli altri colori delle facciate di alcuni suoi palazzi – con quanto è stato invece possibile recuperare – ad esempio le travi di legno che reggono i corridoi in sospensione tra un edificio e l’altro e alcuni palazzi storici usciti indenni dal sisma. L’orgoglio per il risultato ottenuto ha trovato efficace espressione nella realizzazione di Piazza della Rinascita, luogo della memoria di una collettività che ha saputo reagire e guardare avanti, come magistralmente evocato dalla scultura bronzea di Ilario Fioravanti, artista di Cesena di grande fama. L'opera, che è stata inaugurata nel 2007, raffigura una fanciulla a grandezza naturale seduta su un muretto: in quella giovane, dolce ma sicura di se, è l’immagine della rinascita di Massa Martana e dei suoi abitanti.

Curiosità: San Felice, vissuto all’epoca degli imperatori Diocleziano e Massimiano, passati alla storia quali promotori di terribili crociate contro i cristiani, fu invitato ad abiurare alla propria fede dal prefetto imperiale Tarquinio. San Felice, che non si lasciò intimorire, fu condannato al terribile martirio della graticola. Uscito indenne delle fiamme, fu immerso in un olla di pece bollente, infine, dato che non moriva mai, venne decapitato e il suo corpo trafugato in gran segreto dalla comunità cristiana. Oggi parte delle sue spoglie sono conservate nella cripta romanica dell’Abbazia di San Felice, situata a pochi km da Massa Martana, nel Comune di Giano dell’Umbria. In questa chiesa era conservato anche un famoso paliotto medioevale con il martiro del Santo, oggi presso la Galleria Nazionale dell’Umbria a Perugia.  Il pregevole dipinto su tavola del XII sec., di scuola spoletina, mostra influssi bizantini, ed è stato attribuito ad un pittore anonimo, soprannominato Maestro di San Felice.

Pietra Rosa di San Terenziano: Altra tipicità del territorio, esclusivamente nella zona di San Terenziano , e la Pietra Rosa. Una pietra particolarmente pregiata usata per finiture, arredo urbano o complementi di interni. E' un'arte antica che si conserva nelle mani dei pochi scalpellini che ancora si tramandano il mestiere.  La scaglia rossa è una roccia sedimentaria marina costituita da calcari selciferi a grana fine, più o meno marnosi, di colore prevalentemente rossiccio che può passare al bianco, al giallo, al rosso cupo. La colorazione rossa deriva dalla dispersione nella massa calcarea di ossidi di ferro (limoniti ed ematiti); localmente alcune tinte biancastre possono essere dovute a decolorazione secondaria. I calcari della scaglia rossa presentano sempre una fitta stratificazione regolare e sono stati deposti tra i 90 e i 55 milioni di anni fa, nel Cretaceo superiore, e parzialmente nell'Eocene inferiore.

Travertino: Il travertino è una roccia sedimentaria calcarea di tipo chimico, molto utilizzata in edilizia, in particolare a Roma, fin dal I millennio a.C. La differenza tra il deposito calcareo di tipo spugnoso e il banco di travertino è data sostanzialmente dalla conformazione geologica del terreno di formazione: il calcare è uno dei depositi più frequenti in natura essendo prodotto dalla precipitazione di Carbonato di calcio disciolto nell'acqua. Un ambiente continentale subaereo in cui la soluzione calcarea abbia avuto il tempo di ristagnare e sedimentarsi in un territorio pianeggiante, abbastanza vicina alla superficie da poter attraversare cicli di evaporazione e ri-sommersione, poco disturbata da acque sorgive o correnti, favorisce la formazione del travertino. Il colore del travertino dipende dagli ossidi che ha incorporato (cosa che accade abbastanza facilmente, essendo di sua natura una pietra abbastanza porosa). La colorazione naturale varia dal bianco latte al noce, attraverso varie sfumature dal giallo al rosso. È frequente incontrarvi impronte fossili di animali e piante.

San Pietro sopra le acque  La chiesa di San Pietro sopra le acque, sorge poco fuori il borgo di Massa Martana,  in un luogo di grande fascino, in un contesto naturalistico privilegiato: la chiesa e il convento,circondati da un giardino rigoglioso, sono di origine molto antica;  la prima notizia, infatti, risale probabilmente al 1275. Oggi il complesso appare in una veste molto diversa, mostrando affreschi e decorazioni tardo rinascimentali e barocche; lavori di restauro vennero infatti avviati dal cardinale Marcello Lante nel 1608, e modificarono la struttura originale del complesso, arricchendola di decorazioni parietali e arredi. Accoglie il visitatore un semplice portico ornato di affreschi del XVII secolo; l’interno, barocco, trasformato in struttura ricettiva, conserva un pregevole coro ligneo, alcuni dipinti del XV sec. e diverse opere di Andrea Polinori, pittore todino del seicento: la Vocazione di Pietro ed Andrea, San Francesco e Sant'Antonio da Padova; San Francesco riceve le stimmate.

 

 

 

 

Abbazia di SS Fidenzio e Terenzio   lungo un diverticolo della Via Flaminia, attuale Todi-Foligno, si trova la chiesa intitolata ai Santi Fidenzio e Terenzio. Fra le più interessanti chiese romaniche umbre, fu eretta dai nobili di Massa Martana in onore dei due santi, originari, secondo una leggenda, della Siria: partirono da Roma per diffondere la religione cristiana e giunti nel territorio tudertino, al tempo dell'imperatore Diocleziano, furono catturati e martirizzati "in Civitate Martana, Tuderto proxima". I loro corpi furono poi sepolti segretamente nel luogo dove ora sorge la chiesa. Prima dell’attuale chiesa, probabilmente venne eretto, sul loro sepolcro, un oratorio, come potrebbe indicare una pietra della cripta che mostra  l'iscrizione "Beatus Fidentius et Terentius hic requiescunt", i cui caratteri sembrano ascrivibili ai secoli VII, VIII. Le reliquie dei loro corpi vennero riesumate nel 1629 dal cardinale Boncompagni e trasportate nel paese di Bassano di Orte. L’iter storico del monumento sembra essere ancora una volta quello tradizionale degli edifici di questa zona: una chiesa primitiva sarebbe stata ricostruita  nel X sec. e ampiamente modificata nel XIII. La facciata in pietra con filari rossi e bianchi ha una caratteristica bifora di tipo umbro a due rincassi, sovrastante l’arco a tutto sesto della porta d’ingresso. L’interno, oggi piuttosto spoglio, a differenza certamente di quello originario, è ad una navata, e nella parete di fondo sono incastonate una quarantina di lastre di ispirazione longobarda, scolpite con elementi zoomorfi, antropomorfi e geometrici del X-XI sec. Singolare è il soffitto a pianelle policrome con gli stemmi di Todi e un prezioso ambone bizantino in marmo: costruito con due grandi lastre di marmo scolpito: quella verso l'esterno ha un motivo di cerchi annodati riempiti di fiori, grappoli, elici ed apici gigliati, l'altra è decorata con un tipico nastro bisolcato formante grossi nodi allentati, motivo riconducibile, anche per la fattura irregolare, al IX secolo. Poco oltre la metà della navata, un'ampia gradinata immette nel presbiterio sopraelevato, al centro del quale si trova un antico altare costituito da una lastra di travertino, che ricopre il sarcofago dei due martiri, e adornato di quattro colonnine angolari di pietra. Nella zona absidale è conservato un frammento di affresco raffigurante la Madonna con il Bambino e attribuito a Bartolomeo da Miranda, pittore del XIV, attivo in zona. Di particolare interesse la cripta trifora paleocristiana, sorretta da una centrale colonna romana di marmo grigio, con bellissimo capitello ionico, e due colonne laterali di travertino e il caratteristico campanile a vela,  eretto su una antica torre campanaria con base dodecagona di grossi blocchi di travertino. Come altri edifici di culto anche la chiesa di San Fidenzio e Terenzio, ha subito numerose modifiche; nell'attiguo monastero, vi si installò una comunità di monaci benedettini che la ressero fin verso la fine del 1300. Fu pieve importante con alle sue dipendenze molte chiese e castelli. Dai registri delle decime risulta che nel 1276 aveva sei monaci retti da un abate Pietro. Oggi  è proprietà privata, per visitarla è necessario contattare i proprietari.

Curiosità: San Benedetto nacque a Norcia intorno al 480 d.C., quattro anni dopo la caduta dell’Impero Romano, in un periodo storico caratterizzato da invasioni, guerre e distruzioni. Trasferitosi a Roma per compiere i suoi studi, toccò con mano la decadenza che dilagava nella città eterna e, inorridito, si ritirò nel silenzio dei boschi dell’alta valle dell’Aniene, ai confini tra Lazio e Abruzzo. La sua presenza solitaria, dedita alla preghiera e alla penitenza, non passò inosservata e la comunità di monaci di Vicovaro propose a Benedetto di unirsi a loro; presto però il rigore morale e la ferrea disciplina del nursino risultarono invise ai compagni che tentarono di avvelenarlo. Amareggiato, si trasferì a Subiaco dove divenne la guida spirituale di un piccolo cenobio che fu da lui organizzato in una nuova forma di vita monastica. A causa di dissapori sorti con alcuni discepoli, abbandonò Subiaco e si diresse a Cassino, sulla cui altura, nel 529, fondò il noto Monastero di Montecassino. Qui compose la Regola, un complesso documento articolato in un prologo e settantatré capitoli, destinata a divenire il punto di riferimento del monachesimo occidentale e ad essere adottata da tutti i monasteri europei. Nel celebre motto ora et labora si condensa l’essenza del messaggio benedettino che combinai due aspetti della vita umana, quello spirituale e quello materiale. Scandita dall’alternanza tra preghiera e lavoro, l’esistenza dei monaci, in virtù della stabilitas loci, doveva svolgersi tra le mura del monastero, sotto l’egida dell’abate.Evangelizzatori instancabili, i benedettini svolsero un’intensa attività di assistenza e, bonificando paludi, disboscando seve, coltivando la terra, riscattarono il valore del lavoro manuale e divennero un punto di riferimento per le popolazioni vicine. Fondamentale è stato inoltre il loro contributo in ambito culturale:nei monasteri, divenuti luoghi d’arte di grande fascino,ci si occupava anche della trascrizione di libri antichi, spesso corredati da preziose miniature. Benedetto morì a Montecassino intorno al 547 e Papa Paolo VI, nel 1964,lo proclamò Patrono d’Europa.

 

Castel Rinaldi  Borgo medioevale, costruito, secondo la tradizione, nel 1160 da un tal "Rinaldo duca di Calabria", Castel Rinaldi fece parte anche del feudo dei conti Arnolfi. Costantemente di parte guelfa, fu spesso al centro di lotte intestine che segnarono il territorio nel Medioevo: nel 1311 fu assalito infatti dai ghibellini di Todi che lo costrinsero alla sottomissione, nel XV sec., passo’ sotto la signoria della potente famiglia Atti di Todi. Costruito in una zona poco stabile, intorno alla prima meta del 1400 fu danneggiato da alcuni smottamenti che ridussero notevolmente la grandezza del castello.  Sappiamo che vi sosto’ papa Clemente VII, di passaggio in Umbria nel 1532. Meritano attenzione la cinta muraria medioevale e la chiesa parrocchiale di San Sebastiano. Poco fuori dal castello, purtroppo ricoperta dalla vegetazione e di difficile accesso, è situata una necropoli pagana, di notevole interesse storico e documentario, scavata nel tufo: formata da oltre 15 caverne, probabilmente prototipo per la successiva catacomba cristiana di San Faustino.

 

Curiosità: La profonda religiosità della popolazione martana è testimoniata, come si legge in un documento del 1700, dalla presenza di alcuni sepolcreti: «…si veggono alcune grotte. Una delle quali era un sepolcreto o un colombario con molte piccole nicchie per le olle cinerarie divise in vari ordini sino a sette l’una sopra l’altra.». (Nessi S., Ceccaroni S., 1978, p.58).  Queste strutture, scoperte  in numero notevole sulle rupi che costeggiano la via Flaminia ed il fosso di Massa Martana, consistono in ambienti ipogei di probabile uso funerario, scavati nella roccia. Presentano sulle pareti file di piccole nicchie, di 20-25 cm. di lato e profonde 30 cm., e di  forma diversa a secondo della località; sono databili tra il II secolo a.C. ed il III secolo d.C. Nel colombario di Castel Rinaldi per esempio, sono perfettamente allineate ed hanno il lato superiore leggermente arcuato. Negli altri colombari, soprattutto in quelli della rupe di Massa Martana, visibili dalla strada che sale verso il centro storico, sono disposte a scacchiera ed hanno forma rettangolare mentre all’interno si allargano con leggera strombatura a tronco di piramide. Finora ne sono stati identificati 18, in diverse località (Massa Martana, Caciaro, Ponte e Castel Rinaldi), quasi tutti delle stesse dimensioni: 8-10 metri di lunghezza, 3-4 metri di altezza. Purtroppo sono difficilmente raggiungibili sia per la loro ubicazione sia perchè coperte dalla vegetazione; molte sono ancora seminterrate; probabilmente  nel Medioevo, furono utilizzate dagli abitanti di Massa Martana, per l’allevamento dei colombi, come già testimoniato, per esempio ad Orvieto.

 

Chiesa di Santa Maria della Pace  Poco distante da Massa Martana, lungo il tracciato dell'antica via Flaminia, si trova la chiesa di Santa Maria della Pace, iniziata nel 1521 per proteggere una venerata immagine raffigurante la Madonna del latte tra i Ss. Giovanni Battista e Giacomo affrescata su di una modesta edicola votiva. Il dipinto, databile alla metà del XV secolo e attribuito a Bartolomeo della Miranda, pittore tenacemente legato alla tradizione tardo gotica, si trova oggi dietro l'altare maggiore dell'edificio cinquecentesco, all'interno di una complessa struttura ideata nel XVII secolo dal pittore tuderte Andrea Polinori. Nella chiesa, terminata nel 1589, si stabilirono i frati Francescani del Terzo Ordine Regolare (TOR), presenti nel territorio già dal XIV secolo e sino ad allora residenti nel vicino convento di Sant'Antonio di Busseto. L’edificio, a pianta ottagonale, era allora coperto da un tetto a spioventi che i francescani, tra il 1595 e il 1598, sostituirono con l’imponente cupola, il cui tiburio fu portato a termine nel 1623. Nel frattempo i frati avviarono la costruzione del convento, protrattasi fino al 1647, oggi sede della Biblioteca Comunale. Numerose le opere d’arte conservate all’interno della chiesa, tra le quali figurano le tele del pittore Palminio Alvi (San Carlo Borromeo in adorazione del Crocifisso, del 1612, sul retro dell'altare, di fronte al coro; San Francesco che consegna la cintola al Terzo Ordine, del 1613, nel secondo altare destro), un San Francesco in preghiera davanti ad un teschio attribuito al Sensini e una Vergine in preghiera che richiama gli stilemi del Barbiani. Di straordinario effetto scenografico è la decorazione della cupola, affrescata tra il 1647 e il 1649 dal tuderte Giovanni Antonio Polinori, fratello del più celebre artista Andrea Polinori. Le pitture, disposte per fasce concentriche, si sviluppano dal basso verso l’alto e illustrano le Storie dell'Antico e del Nuovo Testamento, dalla Creazione di Adamo al Cristo giudice. Completano la decorazione le figure degli apostoli, di alcuni santi e, più in alto, una nutrita schiera di angeli musicanti, mentre, dalla sommità della cupola, sembrano affacciarsi cherubini e serafini. Le figure, di notevole risalto plastico, sono raffigurate con varietà di pose, gesti ed espressioni. La gamma cromatica, recuperata nei suoi toni originali da un recente restauro, è molto ricercata e vivace. Di grande fascino è l’effetto d’illusionismo spaziale, con quinte architettoniche e brani di paesaggio che sembrano realmente superare i confini imposti dalla cupola.

Curiosità: I paliotti che decorano gli altari laterali, sono stati realizzati con una tecnica molto originale, la scagliola, in voga soprattutto nel 1700. Si tratta di un tipo di manufatti, particolarmente interessanti e alquanto rari in Umbria:  realizzati con un impasto “speciale”, ottenuto da un minerale - la selenite- che allo stato puro si presenta sotto forma di lamelle o scaglie, (da qui il nome “scagliola”). Definita “il marmo dei poveri”, veniva usata per simulare la tarsia marmorea: era usata soprattutto per la realizzazione di paliotti da porre sugli altari delle chiese, in quanto il risultato era di grande effetto scenico. Moltissimi sono gli spunti creativi in questi lavori, come dimostra anche il caso di Massa Martana: la varietà e l'accostamento dei colori, così come il tripudio di dettagli (arabeschi, fiori, e uccellini di ogni tipo) contribuivano al trionfo dell’arte cristiana; paliotti identici nella fattura e nelle decorazioni si trovano nella Chiesa di San Francesco a Giano dell’Umbria.

Un Percorso Storico- Naturalistico sul versante occidentale dei Monti Martani

8,4 km – di cui 5,3 a piedi.

L’itinerario di trekking si svolge lungo il versante occidentale di Monte Castro, rilievo prospiciente l’abitato di Massa Martana.  Dall’abitato di Massa Martana si seguono le indicazioni per i Monti Martani. Dopo qualche chilometro si incontra la piccola Chiesa dell'Ascensione dove inizia il tragitto a piedi. Questa  Antica chiesa rurale è documentata fin dal secolo XIII col nome di Santa Maria de Podio. Successivamente fu detta Santa Maria de Castro e dopo il rifacimento del secolo XVII fu comunemente chiamata chiesa dell'Ascensione. Qui si prosegue a piedi lungo la strada provinciale e fatti due tornanti si incontra l’inizio del sentiero didattico realizzato dalla Comunanza Agraria di Massa Martana denominato “Strada della Perazza”. Il sentiero percorre per circa 1 km in salita una pregevole lecceta su un fondo naturale roccioso in roccia calcarea. Arrivati alla sommità di Monte Castro, il percorso assume un andamento sub pianeggiante, attraversa  ginepreti e praterie secondarie ove in primavera si possono osservare molte specie di orchidee,  prima di arrivare ad incontrare di nuovo la provinciale. Qui si può osservare una meraviglia naturalistica di questo territorio: I boschi di leccio dominano incontrastati i lati sud occidentali del rilievo mentre i lati esposti a nord-est sono ricoperti da una faggeta che qui presenta esemplari di notevoli dimensioni. Osservando la catena dei Martani si riesce ad intravedere l’abbazia di San Pietro in Monte (privata), nei sui dintorni si possono osservare alcuni dei rimboschimenti effettuati nel dopoguerra per ripristinare la vegetazione sulle nostra montagne ma soprattutto alcuni degli esemplari di faggio secolari tra i più maestosi dell’intera Regione Umbria. Si prosegue lungo la provinciale in discesa e dopo circa 3 km si raggiunge il punto di partenza.

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APPROFONDIMENTI Itinerario n 5

Faggio

Fagus sylvatica L. diffusa sulle Alpi e sugli Appennini, dove forma boschi puri (faggete) o misti oltre i 900 m s.l.m. sugli Appennini. Localmente, quando le condizioni climatiche lo consentono, il faggio lo si può trovare molto più in basso:

È una pianta che raggiunge facilmente i 25 - 30 metri di altezza. Presenta foglie denso e foglie ovali , più chiare nella pagina inferiore. Le foglie sono disposte sul ramo in modo alterno, lucide su entrambe le facce, con margine ondulato, ciliato

da giovani. In autunno assumono una caratteristica colorazione arancio o rosso-bruna. Ha una chioma massiccia, molto ramificata e con fitto fogliame, facilmente riconoscibile a distanza perché molto arrotondata e larga, con rami della porzione apicale eretti verticali.

È una pianta monoica che produce fiori maschili e femminili sulla stessa pianta ma in posizioni diverse. I fiori maschili sono riuniti in amenti tondi e penduli, lungamente picciolati, quelli femminili accoppiati in un involucro, detto 'cupola', hanno ovario triloculare, la fioritura avviene generalmente nel mese di maggio. I frutti, chiamati faggiole, sono grossi acheni commestibili, trigoni, rossicci, contenuti in ricci deiscenti per 4 valve, dai quali si ricavava un olio che è un surrogato di quello d'oliva.

Curiosità: Il faggio viene coltivato in boschi cedui per la produzione di legna da ardere, tuttavia negli ultimi anni si è avuta una conversione da ceduo a fustaia per soddisfare l'interesse commerciale. Nelle coltivazioni a fustaia si effettuano tagli ogni 90-100 anni, dai quali si ricavano 400-500 metri cubi di legname a taglio. Come legname viene impiegato nella costruzione di mobili, giocattoli, utensili da cucina ed è adatto alla tornitura. Grazie alla sua compattezza viene inoltre apprezzato nella costruzione di sedie, mazzuoli, pavimenti e ripiani di banchi da lavoro.

Chiesa dell'Ascensione  Questa antica chiesa rurale, che sorge in un contesto naturalistico di pregio, è documentata fin dal secolo XIII con un altro nome Santa Maria de Podio. Successivamente fu detta Santa Maria de Castro e dopo i rifacimenti del secolo XVII si iniziò a chiamarla chiesa dell'Ascensione, anche se il titolo principale resta quello dedicato alla Madonna. 

I Monti Martani La catena dei monti Martani si trova al centro dell'Umbria e si estende, con un andamento regolare da sud a nord, per circa 45 chilometri, tra le province di Terni e di Perugia.

È delimitato ad est dalla Valle Umbra e dalla Valserra; ad ovest dalla valle del fiume Tevere e da quella del Naia nella parte meridionale; a sud dalla Conca Ternana con il fiume Nera. La catena dei Martani è circondata da città e da centri storici importanti. A Nord Montefalco e Foligno, a Est Spoleto, a Ovest Todi, Acquasparta, Massa Martana e Sangemini, a Sud Terni. Numerose sono anche le tracce dell'antichità più remota e le aree archeologiche. La più importante è quella di Carsulae o i resti archeologici di Sant'Erasmo sul monte Torre Maggiore.

Le cime dei Martani sono perlopiù arrotondate e coperte da prati. Le più elevate sono:

Monte Torre Maggiore (1.121 m); Monte Martano (1.094 m); Monte Forzano (1.086 m); Monte Torricella (1.054 m); Capoccia Pelata (1.054 m); Cima Panco (1.013 m).

La vegetazione è costituita in prevalenza da boschi misti con prevalenza di quercia, da boschi puri di lecci e nelle zone più elevate di faggi. I Martani sono ricchi di grotte, doline e inghiottitoi originati dall'erosione dell'acqua, tra cui l'esempio di maggiore interesse è rappresentato dal Fosso di Pozzale. La stessa acqua, a valle, alimenta numerose sorgenti, alcune delle quali molto rinomate, come la Sangemini, la Fabia, l'Amerino, la Sanfaustino e la Furapane.

I Monti Martani fanno parte dell'Appennino Umbro-Marchigiano, un'entità geomorfologica e litologica ben definita descrivibile come un sistema di pieghe e sovrascorrimenti disposti a formare un arco a convessità orientale.

Nelle aree sommitali affiorano i calcari micritici: si sono deposti in un ambiente di sedimentazione di tipo pelagico a partire dal Giurassico inferiore, ovvero da 190 milioni di anni or sono.

Lungo la dorsale si possono osservare interessanti morfotipi carsici, formatisi per l'azione corrosiva delle acque meteoriche sul calcare, come le doline, presenti diffusamente lungo la catena (Il Tifene, Corva di Mezzanelli, Pozzale, ecc.)  ad occidente della stessa, e i piani carsici come quello di Casetta San Severo.

In prossimità della vetta del Monte Martano una forte antropizzazione ha modificato il paesaggio montano.

In questo luogo, infatti, ritenuto strategico per posizione, esposizione ed altitudine, sono stati ubicati un numero considerevole di ripetitori radio-televisivi e una base militare. Le pendici della dorsale sono in gran parte rivestite da boschi misti.

Ammoniti: Gli Ammoniti, Phylum: Mollusca - Classe: Cephalopoda - Sottoclasse: Ammonoidea, sono molluschi cefalopodi comparsi nel Devoniano (ca. 400 milioni di anni fa) ed estintisi intorno al limite Cretaceo Superiore-Paleocene (ca. 65 milioni di anni fa).

Erano animali di origine marina la cui conchiglia era formata da carbonato di calcio sotto forma di aragonite, mentre la parte organica era sostanzialmente composta da conchiolina.

Sono stati classificati come cefalopodi e possono essere considerati come i progenitori degli odierni calamari e seppie.

Le parti anatomiche che è possibile riconoscere e osservare dai fossili degli ammoniti, sono sostanzialmente: il Fragmocono e Protoconca, la Camera d'Abitazione ed il Peristoma.

San Pietro in Monte  raggiungibile solo con percorsi a piedi, a dominio dei Monti Martani, si trova l’antica Chiesa di San Pietro in Monte. Fu edificata dai dai benedettini nel 1000, e purtroppo soppressa alla fine del secolo XIV. Aveva giurisdizione su un ampio territorio e alle dipendenze del suo abate vi erano anche le chiese di Sant'Ippolito di Castelvecchio e di Sant'Ilario di Todi. Il suo ricco e prezioso archivio dopo la soppressione è stato spostato presso l'Archivio della Cattedrale di Spoleto. Come la maggior parte degli edifici cristiani, anche la Chiesa di San Pietro fu costruita su resti di una struttura romana, presumibilmente un tempio dedicato a Marte, particolarmente venerato in questa zona, tanto da dare il nome ai Monti Martani e al territorio e al Vicus Martis.

Tale ipotesi è avvalorata anche dal ritrovamento di alcuni reperti tra cui un cippo con iscrizione romana (usato per sostenere la mensa d'altare della chiesa, conservato nella cappella privata attigua all'edificio abbaziale). Dalla radura antistante l’edificio si ha un vista a volo d’uccello sulla Valle del Tevere, e si riescono a dominare alcune cime dei Monti Martani.

Curiosità: Greci e Romani delinearono in maniera differente la figura del dio della guerra: se per i primi Ares era una divinità irrazionale e sanguinaria alla quale non tributarono particolare considerazione, per gli altri, che lo chiamarono Marte, era secondo solo al re dell’Olimpo. In realtà il suo culto era già ampiamente diffuso presso le popolazioni italiche, che lo consideravano il dio della natura e della fertilità ma anche del tuono e della pioggia. Secondo il racconto mitologico, Giunone, in cerca di rivalsa sul marito Giove che da solo aveva concepito Minerva,per non essere da meno, si rivolse a Flora. La dea delle fioriture e della primavera le indicò un fiore speciale che, al solo contatto, le permise di generare Marte, poi allevato da Priapo all’arte della guerra. Quando Roma decise di ampliare i propri confini, promuovendo quella serie di campagne militari che progressivamente la trasformarono in un impero di vastissime dimensioni,Marte fu associato esclusivamente alla guerra. Padre del popolo romano, dalla sua unione con Rea Silvia, nacquero infatti Romolo e Remo, i fondatori della città. Il primo mese del calendario arcaico, marzo, prendeva da lui nome e a Marte erano dedicate le principali feste.

Dal punto di vista iconografico, il dio della guerra è stato sempre rappresentato come un uomo vigoroso, dall'aspetto virile, talvolta con la barba, dotato di elmo e scudo, lancia e spada, raramente con un'armatura completa. 

Un itinerario geoturistico nell’area martana

19 km - Itinerario fruibile in auto e in bici

L’itinerario geoturistico si sviluppa nell’area montana del comprensorio del territorio comunale e permette di apprezzare emergenze sia naturali che storico-artistiche. Il percorso inizia dalla frazione di Viepri, suggestivo borgo medioevale con la tipica struttura fortificata dei castelli tuderti del periodo, situato ai piedi di Monte Schignano, (dove sono presenti resti di un insediamento pre-romano), si raggiunge poi il complesso abbaziale di Santa Maria di Viepri (struttura privata, visitabile su richiesta), probabilmente eretta dai signori di Castelvecchio intorno al 1150, mantiene visibile la struttura romanica primitiva, anche dopo i numerosi restauri. Lasciata la Chiesa di Santa Maria si prosegue per Castelvecchio, che nel XIII secolo era uno dei più grandi e popolosi castelli della zona, con una poderosa cinta muraria ellittica e con oltre 100 nuclei familiari, dotato anche di un ospedale e ben sette chiese. Nel percorso è possibile vedere la Chiesa di Santa Maria di Castelvecchio, all’ingresso del borgo, e poco più avanti in direzione Grutti, la chiesetta di Sant’Ippolito documentata fin dal secolo XIII, dalla tipica struttura a capanna,con eleganti linee romaniche, abside semicircolare di forma inconsueta e il tipico paramento murario in conci bianchi e rosa. Nei pressi di Sant’Ippolito è possibile effettuare un breve percorso trekking di circa 800 m, grazie al quale è possibile osservare un suggestivo fenomeno carsico dell’area (dolina) ; proseguendo si raggiunge una vecchia cava dove è possibile rinvenire rocce calcaree con resti di ammoniti e molluschi marini, testimoni della lunga storia geologica che ha avuto l’area martana. L’itinerario prosegue rientrando sulla provinciale che da Viepri scende verso Colvalenza. Dopo alcuni km sullo stessa provinciale si raggiunge, visibile sulla destra, la chiesa di Sant'Arnaldo, del XIII, anche se molto rimaneggiata nei secoli successivi. Si celebra, qui, la seconda domenica di settembre un'antica festa in onore del santo titolare; in questa occasione accorrono molti fedeli  grazie alle virtù taumaturgiche incarnate da Sant’Arnaldo. Si riprende la provinciale per circa 300 metri e si devia a sinistra per Castel Rinaldi, caratteristico borgo medioevale, anticamente feudo dei conti Arnolfi, poi sottomesso a Todi, con la sua cinta muraria ben conservata e la parrocchiale di San Sebastiano, è un tipico esempio di insediamento fortificato della zona, prima di chiudere il percorso rientrando a Viepri, si possono vedere, anche se nascoste in parte dalla vegetazione, piccole nicchie scavate nel travertino, (detti colombari) con una probabile funzione funeraria, di tipo pagano.

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APPROFONDIMENTI Itinerario n 4

Viepri  Il borgo fortificato di Viepri è avvolto dalle alte colline circostanti che, chiamate per secoli ad assicurarne la difesa, sembrano ancora oggi continuare a nasconderlo. Costruito dopo il 1380 sulle rovine del demolito castello di Monte Schignano, il suo dominio fu oggetto di un’aspra contesa tra Todi e Foligno. Pur di non soggiacere all’autorità tuderte, nel 1392 preferì sottomettersi ad Ugolino Trinci, signore di Foligno. Fu comunque una breve parentesi e Viepri fu definitivamente conquistata da Todi che, per meglio rendere manifesto il suo potere, fece apporre il proprio stemma, un’aquila, sopra una delle due porte di accesso al castello.  Queste ultime sono ancora ben conservate, mentre delle mura medievali è visibile solo una porzione del perimetro originario. All’interno del piccolo borgo si trova la chiesa di San Giovanni che custodisce un interessante affresco datato 1577, raffigurante in alto la Madonna col bambino tra angeli, sottola Decollazione di San Giovanni Battista, resa con uno stile semplice e popolare ma di grande efficacia comunicativa, e sulla sinistra San Rocco.

 

 

 

 I Monti Martani  La catena dei monti Martani si trova al centro dell'Umbria e si estende, con un andamento regolare da sud a nord, per circa 45 chilometri, tra le province di Terni e di Perugia.

È delimitato ad est dalla Valle Umbra e dalla Valserra; ad ovest dalla valle del fiume Tevere e da quella del Naia nella parte meridionale; a sud dalla Conca Ternana con il fiume Nera. La catena dei Martani è circondata da città e da centri storici importanti. A Nord Montefalco e Foligno, a Est Spoleto, a Ovest Todi, Acquasparta, Massa Martana e Sangemini, a Sud Terni. Numerose sono anche le tracce dell'antichità più remota e le aree archeologiche. La più importante è quella di Carsulae o i resti archeologici di Sant'Erasmo sul monte Torre Maggiore.

Le cime dei Martani sono perlopiù arrotondate e coperte da prati. Le più elevate sono:

Monte Torre Maggiore (1.121 m); Monte Martano (1.094 m); Monte Forzano (1.086 m); Monte Torricella (1.054 m); Capoccia Pelata (1.054 m); Cima Panco (1.013 m).

La vegetazione è costituita in prevalenza da boschi misti con prevalenza di quercia, da boschi puri di lecci e nelle zone più elevate di faggi. I Martani sono ricchi di grotte, doline e inghiottitoi originati dall'erosione dell'acqua, tra cui l'esempio di maggiore interesse è rappresentato dal Fosso di Pozzale. La stessa acqua, a valle, alimenta numerose sorgenti, alcune delle quali molto rinomate, come la Sangemini, la Fabia, l'Amerino, la Sanfaustino e la Furapane.

I Monti Martani fanno parte dell'Appennino Umbro-Marchigiano, un'entità geomorfologica e litologica ben definita descrivibile come un sistema di pieghe e sovrascorrimenti disposti a formare un arco a convessità orientale.

Nelle aree sommitali affiorano i calcari micritici: si sono deposti in un ambiente di sedimentazione di tipo pelagico a partire dal Giurassico inferiore, ovvero da 190 milioni di anni or sono.

Lungo la dorsale si possono osservare interessanti morfotipi carsici, formatisi per l'azione corrosiva delle acque meteoriche sul calcare, come le doline, presenti diffusamente lungo la catena (Il Tifene, Corva di Mezzanelli, Pozzale, ecc.)  ad occidente della stessa, e i piani carsici come quello di Casetta San Severo.

In prossimità della vetta del Monte Martano una forte antropizzazione ha modificato il paesaggio montano.

In questo luogo, infatti, ritenuto strategico per posizione, esposizione ed altitudine, sono stati ubicati un numero considerevole di ripetitori radio-televisivi e una base militare. Le pendici della dorsale sono in gran parte rivestite da boschi misti.

I Castellieri  Il castelliere (o castellare) è un piccolo insediamento, o villaggio, fortificato protostorico (età del bronzo e del ferro), sorto in genere in posizione elevata facilmente difendibile, in cui una situazione difensiva naturale veniva sfruttata e rafforzata dall'opera dell'uomo. Le fortificazioni sono in genere costituite da aggeri e palizzate di legno e sono per lo più, ma non sempre, a pianta circolare. Al villaggio fortificato sono a volte associate necropoli esterne, anticamente ad inumazione con il defunto racchiuso entro cassette costituite da lastre pietrose, impreziosite da vasi e martelli. Nell'età del ferro, invece, le necropoli sono ad incinerazione ed i reperti sono più vasti, comprendenti ossuari, anelloni, ossa di cervo, oggetti metallici. Spesso le loro ubicazioni ben difendibili sono state riutilizzate sia ai tempi degli antichi romani, sia durante il Medioevo. I castellieri caratterizzano la cosidetta cultura dei castellieri, sviluppatasi in Istria e nelle zone limitrofe (Venezia Giulia e Friuli) tra il XV e il III secolo a.C. Altri castellieri piuttosto noti e studiati in Italia, si trovano in Umbria, in particolare negli altopiani dell'appennino umbro-marchigiano. Fra i Castellieri presenti nel territorio ci sono da annoverare quelli di Monte Il Cerchio, Monte Martano, San Pietro in Monte, Monte Schignano e M. Capoccia Pelata.

 

 

Complesso abbaziale di Santa Maria di Viepri  Fuori dall’abitato di Viepri sorge l’abbazia di Santa Maria che, secondo una consolidata tradizione, sarebbe stata edificata intorno al 1150 dai signori di Castelvecchio.Agli inizi del XIII secolo divenne pieve del distrutto castello di Monte Schignano. Interessante esempio di architettura romanica, nel corso del tempo subì vari interventi che, pur modificandone la struttura in alcune parti, non ne hanno comunque scalfito l’originaria identità. Sobria e monumentale allo stesso tempo, l’abbazia fu costruita utilizzando materiale proveniente da dismessi edifici romani. Sulla semplice facciata a due spioventi si apre un portale a rincassi sormontato da una bifora e si eleva quanto resta di una robusta torre campanaria, mutilata, sembra a causa di un fulmine. Inglobata in seguito nella costruzione adiacente all’edificio sacro, fu sostituita dal grande campanile quadrato ancora oggi visibile. Lungo le pareti esterne dell’abbazia sono stati inseriti vari e interessanti frammenti scultorei di epoca romana e altomedievale. Le absidi semicircolari presentano il caratteristico coronamento ad archetti pensili su mensole e lesene, comune alle chiese romaniche umbre. L’interno, ampio e solenne, è diviso in tre navate che, separate da solidi pilastri privi di capitelli, terminano in altrettante absidi. È coperto da volta a crociera sorretta da archi trasversali, ma è plausibile ipotizzare che in origine presentasse il consueto tetto ligneo a capriate. Nonostante l’abbazia sia priva di sottostante cripta, il presbiterio risulta leggermente rialzato rispetto al piano delle navate. Il solenne edificio scaro conserva un calice finemente cesellato, due dipinti seicenteschi del pittore tuderte Andrea Polinori raffiguranti la Natività della Vergine Maria e la Madonna del Rosario tra Santi,un’immagine di San Sebastiano affrescata nel XIII secolo.

 

 Castelvecchio  Il borgo si presenta oggi con una veste molto diversa da come doveva apparire nel Medioevo: rimangono, oggi, solo alcuni ruderi nascosti dalla vegetazione spontanea che ha ripreso possesso del rilievo sul quale sorgeva il borgo fortificato. Le fonti lo attestano come unodei più importanti e popolosi castelli della zona, l’abitato aveva circa 100 nuclei familiari; era cinto da una poderosa cinta muraria a forma ellittica. Luogo di passaggio, per la sua posizione lungo il percorso tra Massa Martana, Todi e Gualdo Cattaneo, aveva un ospedale e contava alle sue dipendenze ben sette chiese (San Giorgio, Sant'Anastasia, Santa Cristina, San Biagio, Santa Croce, Santissima Trinità e Sant’Ippolito, quest’ultima ancora mostra il suo fascino di pieve romanica. La storia di Castelvecchio è segnata da svariati episodi, che fecero del borgo un teatro di ripetuti scontri; tra questi si ricorda l’assalto, nel 1377, di Catalano degli Atti, capo della fazione guelfa; la popolazione, di parte ghibellina, riuscì a difendersi, grazie alla valida difesa che opponevano le possenti mura. Tutt’altro epilogo ci fu nel 1434 quando il castello fu totalmente distrutto dalle truppe di Francesco Sforza; i pochi superstiti decisero quindi di ricostruire il borgo più a valle, intorno ad un importante incrocio di strade dove nel 1603 fu costruito il Santuario della Madonna di Castelvecchio. L’edificio, che ancora domina l’abitato, mostra linee tardo rinascimentali, che poco si integrano con l’architettura e l’atmosfera medioevale dei castelli della zona. Il santuario, venne fatto costruire dal vescovo di Todi Angelo Cesi nel 1604, su progetto dell'architetto perugino Valentino Martelli; la chiesa fu edificata a ricordo di un fatto miracoloso avvenuto l'11 maggio 1602. Le semplici linee della struttura, nascondono un interno ricco di opere d’arte seicentesche, oltre all’affresco, situato sull'altare maggiore, con l'immagine miracolosa della Madonna con il Bambino, dipinto nel 1581 dal pittore tuderte Pietro Paolo Sensini. Nei quattro altari laterali sono conservate pregevoli tele seicentesche dei pittori: Ascensidonio Spacca detto il Fantino, Cristo crocifisso tra San Francesco e Santa Maria Maddalena, Pietro Paolo Sensini San Carlo Borromeo e Pietro Salvi da Bevagna Madonna di Costantinopoli tra Santi e la Santissima Concezione tra i Santi Francesco, Domenico e Antonio da Padova. Poco fuori dall’abitato si trova la graziosa chiesetta di Sant’Ippolito, documentata fin dalsecolo XIII, di eleganti linee romaniche con abside semicircolare di forma inconsueta e con paramento murario in conci bianchi e rosa. L'interno ad unica navata conserva, nell'abside, un affresco del secolo XVII raffigurante Cristo in Croce tra San Pietro e San Paolo.

Curiosità: Il miracolo avvenuto nel luogo dove oggi sorge il  Santuario, ricorda la storia di tanti altri episodi miracolosi, avvenuti in Umbria in un periodo di forte religiosità, basti pensare al poco precedente Tempio di Santa Maria della Consolazione costruito a Todi. Si racconta che un uomo di nome Simone Graziani di Sgurgola, insieme al figlio Giacomo, posseduto da spiriti maligni, era in viaggio per un pellegrinaggio a Loreto, e passando per Castelvecchio fu costretto a rifugiarsi, per un improvviso temporale, in una piccola cappella posta lungo la strada. All’interno era dipinta sul muro un’ immagine della Madonna, l’uomo inizio’ a pregare ed il giorno dopo trovò il figlio completamente guarito. La notizia si diffuse immediatamente nelle zone circostanti ed una gran folla di fedeli accorse per rendere omaggio all'immagine miracolosa intorno alla quale fu poi costruita la chiesa.

 

Dolina di Castelvecchio  Dolina è una parola di origine slovena e significa semplicemente valle. Dato che l'interesse per i fenomeni carsici ed anzi per lo stesso carsismo si è sviluppato a partire dai territori sloveni, la terminologia internazionale ha fatto proprio questo termine per definire più precisamente una valle carsica, cioè una depressione tipica del terreno modellato in varie fogge da fenomeni di carsismo. Una dolina è una conca chiusa, un bacino che si riempirebbe d'acqua originando un laghetto se le pareti ed il fondo fossero impermeabili; invece, di solito, l'acqua viene assorbita attraverso vie sotterranee. Formatasi dall’azione erosiva delle acque meteoriche la dolina carsica, di forma ellittica, misura 250-300 m di diametro e circa 20 di profondità. Le stratificazioni sono visibili e ben definite e quel che più conta, il luogo dove si trova la dolina è di grande interesse geologico.

Ammoniti: Gli Ammoniti, Phylum: Mollusca - Classe: Cephalopoda - Sottoclasse: Ammonoidea, sono molluschi cefalopodi comparsi nel Devoniano (ca. 400 milioni di anni fa) ed estintisi intorno al limite Cretaceo Superiore-Paleocene (ca. 65 milioni di anni fa). Erano animali di origine marina la cui conchiglia era formata da carbonato di calcio sotto forma di aragonite, mentre la parte organica era sostanzialmente composta da conchiolina.Sono stati classificati come cefalopodi e possono essere considerati come i progenitori degli odierni calamari e seppie. Le parti anatomiche che è possibile riconoscere e osservare dai fossili degli ammoniti, sono sostanzialmente: il Fragmocono e Protoconca, la Camera d'Abitazione ed il Peristoma.

 

Sant'Arnaldo  La chiesa,  appare isolata in mezzo a distese  di campi, circondata solo da qualche leccio e da qualche cipresso;  mostra ancora parte della facciata originale in pietra locale bianca e rosa; documentata fin da secolo XIII, presenta un interno ad unica navata, molto rimaneggiato nei secoli successivi. Vi si celebra la seconda domenica di settembre un'antica festa religiosa che attira numerosi fedeli da diverse località che accorrono per le virtù taumaturgiche che sembra avere  Sant’Arnaldo, titolare della chiesa.

 

 

 

 

Castel Rinaldi  Borgo medioevale, costruito, secondo la tradizione, nel 1160 da un tal "Rinaldo duca di Calabria", Castel Rinaldi fece parte anche del feudo dei conti Arnolfi. Costantemente di parte guelfa, fu spesso al centro di lotte intestine che segnarono il territorio nel Medioevo: nel 1311 fu assalito infatti dai ghibellini di Todi che lo costrinsero alla sottomissione, nel XV sec., passo’ sotto la signoria della potente famiglia Atti di Todi. Costruito in una zona poco stabile, intorno alla prima meta del 1400 fu danneggiato da alcuni smottamenti che ridussero notevolmente la grandezza del castello.  Sappiamo che vi sosto’ papa Clemente VII, di passaggio in Umbria nel 1532. Meritano attenzione la cinta muraria medioevale e la chiesa parrocchiale di San Sebastiano. Poco fuori dal castello, purtroppo ricoperta dalla vegetazione e di difficile accesso, è situata una necropoli pagana, di notevole interesse storico e documentario, scavata nel tufo: formata da oltre 15 caverne, probabilmente prototipo per la successiva catacomba cristiana di San Faustino.

Curiosità:  La profonda religiosità della popolazione martana è testimoniata, come si legge in un documento del 1700, dalla presenza di alcuni sepolcreti: «…si veggono alcune grotte. Una delle quali era un sepolcreto o un colombario con molte piccole nicchie per le olle cinerarie divise in vari ordini sino a sette l’una sopra l’altra.». (Nessi S., Ceccaroni S., 1978, p.58).  Queste strutture, scoperte  in numero notevole sulle rupi che costeggiano la via Flaminia ed il fosso di Massa Martana, consistono in ambienti ipogei di probabile uso funerario, scavati nella roccia. Presentano sulle pareti file di piccole nicchie, di 20-25 cm. di lato e profonde 30 cm., e di  forma diversa a secondo della località; sono databili tra il II secolo a.C. ed il III secolo d.C. Nel colombario di Castel Rinaldi per esempio, sono perfettamente allineate ed hanno il lato superiore leggermente arcuato. Negli altri colombari, soprattutto in quelli della rupe di Massa Martana, visibili dalla strada che sale verso il centro storico, sono disposte a scacchiera ed hanno forma rettangolare mentre all’interno si allargano con leggera strombatura a tronco di piramide. Finora ne sono stati identificati 18, in diverse località (Massa Martana, Caciaro, Ponte e Castel Rinaldi), quasi tutti delle stesse dimensioni: 8-10 metri di lunghezza, 3-4 metri di altezza. Purtroppo sono difficilmente raggiungibili sia per la loro ubicazione sia perchè coperte dalla vegetazione; molte sono ancora seminterrate; probabilmente  nel Medioevo, furono utilizzate dagli abitanti di Massa Martana, per l’allevamento dei colombi, come già testimoniato, per esempio ad Orvieto.

Curiosità: In questa area, proprio lungo l’antico tracciato della Via Flaminia, è stata rinvenuta nel 1839, una stele funeraria bilingue, oggi conservata nel Museo Etrusco Gregoriano.
La stele è incisa su entrambi i lati con iscrizioni in lingua latina e celtica e fa riferimento al monumento funerario di Ategnatus figlio di Drutus.

Monte il Cerchio

11 km  Di cui 7,8 in auto e 3,2 a piedi. È fruibile anche in bicicletta

Un notevole punto di pregio paesaggistico, naturalistico e storico è costituito dalla cima del Monte il Cerchio (930 m), sito di importanza comunitaria per la presenza di ginepreti e una vasta area con una vegetazione tipica della macchia mediterranea e che qui raggiunge l’area più interna del versante tirrenico. Situato ad est di Massa Martana si raggiunge percorrendo la provinciale che dai pressi della Chiesa dell'Ascensione sale ai Monti Martani in direzione Terzo San Severo, sino a Le Troscignole del Pozzacchiolo, dove si trova il sentiero che porta alla dorsale del Monte il Cerchio percorrendo 1,6 km in falsopiano. Molto interessanti le praterie secondarie sommitali, soprattutto in primavera con una bellissima fioritura. Il sito risulta anche interessante in quanto su un’altura, a sud della vetta, si trovano i resti dei Castellieri perfettamente circolare (da qui il nome del monte). Risalente  all’epoca preromana e fu edificato con blocchi di calcare sovrapposti a secco. L’itinerario si conclude con la visita del castelliere e il ritorno al punto di partenza sulla via dell’andata. 

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APPROFONDIMENTI Itinerario n 6

Chiesa dell'Ascensione  Questa antica chiesa rurale, che sorge in un contesto naturalistico di pregio, è documentata fin dal secolo XIII con un altro nome Santa Maria de Podio. Successivamente fu detta Santa Maria de Castro e dopo i rifacimenti del secolo XVII si iniziò a chiamarla chiesa dell'Ascensione, anche se il titolo principale resta quello dedicato alla Madonna.

 

 

 

 

 

 

 

 

I Castellieri Il castelliere (o castellare) è un piccolo insediamento, o villaggio, fortificato protostorico (età del bronzo e del ferro), sorto in genere in posizione elevata facilmente difendibile, in cui una situazione difensiva naturale veniva sfruttata e rafforzata dall'opera dell'uomo.

Le fortificazioni sono in genere costituite da aggeri e palizzate di legno e sono per lo più, ma non sempre, a pianta circolare. Al villaggio fortificato sono a volte associate necropoli esterne, anticamente ad inumazione con il defunto racchiuso entro cassette costituite da lastre pietrose, impreziosite da vasi e martelli. Nell'età del ferro, invece, le necropoli sono ad incinerazione ed i reperti sono più vasti, comprendenti ossuari, anelloni, ossa di cervo, oggetti metallici.

Spesso le loro ubicazioni ben difendibili sono state riutilizzate sia ai tempi degli antichi romani, sia durante il Medioevo.

I castellieri caratterizzano la cosidetta cultura dei castellieri, sviluppatasi in Istria e nelle zone limitrofe (Venezia Giulia e Friuli) tra il XV e il III secolo a.C. Altri castellieri piuttosto noti e studiati in Italia, si trovano in Umbria, in particolare negli altopiani dell'appennino umbro-marchigiano. Fra i Castellieri presenti nel territorio ci sono da annoverare quelli di Monte Il Cerchio, Monte Martano, San Pietro in Monte, Monte Schignano e M. Capoccia Pelata.

 

 

Edifici storico-artistici fuori dai percorsi

 

Chiesa di Sant’illuminata


La chiesa di Santa Illuminata, immersa in un ambiente molto suggestivo, fuori dai percorsi turistici, mantiene la sua atmosfera mistica, secondo la tradizione si crede eretta sopra il sepolcro di Sant’Illuminata, santa ravennate. L’edificio risale al 1000, della stessa epoca è l'annesso monastero, fu retto dai monaci camaldolesi, alle dipendenze della chiesa di Sant'Apollinare in Classe di Ravenna, ulteriore testimonianza di quel corridoio bizantino che mantenne, in tempi difficili, i contatti con Roma (come risulta da un documento del 1138 degli Annales Camaldulenses). Il monastero, svolse un ruolo rilevante dal punto di vista politico, ed è citato in diverse fonti, tra le quali si ricorda, un documento del 1185 ed  un privilegio di Gregorio IX del 1229. Purtroppo poco dopo il monastero fu soppresso e la chiesa passò al Capitolo della cattedrale di Todi, tanto che nel 1260 ne fu priore un personaggio illustre Benedetto Caetani, il futuro papa Bonifacio VIII. Oggi rimane ancora il silenzio a circondare la chiesa e il monastero annesso; la facciata, sobria ed elegante presenta un bel portale, a tutto sesto e a tre rincassi, ma di ampio respiro, fiancheggiato da due arcate cieche; al di sopra si apre una bifora con colonnina centrale e capitello a stampella, secondo la ricorrente  tipologia umbra che si ritrova anche a  San Felice di Giano, a San Faustino, a SS. Fidenzio e Terenzio. Sul fastigio è una lastra altomedievale, del IX sec, ornata di una croce ad intrecci con motivi floreali, faunistici ed una figura umana. Nella parte posteriore della chiesa è ancora visibile una parte dell'abside superiore con due feritoie per l'illuminazione. Un campanile a vela è innalzato sulla sommità della parete, non in simmetria con il centro. L'interno, purtroppo molto rovinato e rimaneggiato, è formato da una sola navata, che in origine aveva il presbiterio rialzato con sottostante cripta ed era coperto da volta a botte con sottarchi. La volta è crollata, ma sono chiaramente visibili le tracce sulla parete di fondo. Il presbiterio era un tempo sopraelevato come quello della vicina chiesa dei SS. Fidenzio e Terenzio.  Anche la cripta mostra tracce dell’antico splendore. Le pareti interne, sono state intonacate, si notano però tracce di affreschi, anche se molto rovinati, quasi illeggibili. Di notevole interesse un quadro settecentesco del pittore Giovanni Andrea Lezzerini raffigurante un episodio della vita di S. Illuminata.

Curiosità: Secondo la leggenda, Illuminata,  fanciulla ravennate, vissuta sembra nel VI secolo, percorse la Via Amerina per sfuggire ai genitori pagani e ai suoi persecutori. Giunta in Umbria compì  miracoli anche a Massa Martana, nei cui pressi fu sepolta e sulla sua tomba si crede sia sorta la chiesaSecondo notizie di storici locali, a circa 100 passi dalla chiesa verso est si trovavano terme romane dette di Papiniano, e nella stessa direzione era la “fontanella di S.Illuminata” miracolosa per le febbri terzane.

 

Zampani  Nel XIII secolo il borgo di Zampani ed i suoi abitanti erano compresi nel territorio del castello di Gagliole che si ergeva sulla sommità del colle oggi chiamato Torracio. Distrutto il castello nel 1307, Zampani diventa il centro più importante del territorio circostante e ne assume anche la titolarità nei documenti ufficiali. Nel catasto del 1322, infatti, sotto la denominazione di Villa dei Zampanis figurano allibrate 26 persone molte delle quali sono le stesse o gli eredi di quelle registrate nel 1290 sotto il castello di Gagliole. Gli abitanti di Zampani erano anche costituiti in Communitas o Universitas di carattere agrario e godevano in comune delle risorse di un vasto tenimento di terre nelle montagne retrostanti in vocabolo de Calvellis Fagieti e di Montosoli. Dal secolo XV Zampani entra a far parte del Comune di Massa ed i suoi abitanti ricadono nella giurisdizione religiosa della parrocchia di San Felice di Massa. Nello stato delle anime compilato nel 1639 dall’arciprete don Andrea Boncompagni, vengono registrate nel borgo di Zampani 13 famiglie con 66 abitanti. Nel territorio di Zampani è compreso il brullo e sassoso colle chiamato Rottomario perché, secondo una ben radicata tradizione, in epoca romana vi sarebbe avvenuto uno scontro armato nel corso del quale i seguaci di Mario furono sbaragliati da quelli di Silla. In realtà il toponimo originario era Griptonario, cioè luogo pieno di grotte. Una di queste grotticelle è detta ancora oggi Grotta di San Felice perché la tradizione vuole che in essa si ritirasse in preghiera il santo vescovo della Città Martana, martirizzato nel 303 d.C.. Anticamente, almeno fino alla fine del 1500, questo evento veniva celebrato con una solenne processione che dalla chiesa parrocchiale di San Felice si recava fino alla grotta.

 

 

 

 

 

 

Sant’Ilario  Si tratta di una chiesa rurale molto antica, documentata fin dal secolo XIII, ad unica navata, con tetto a due spioventi ed abside semicircolare. Per lungo periodo fu alle dipendenze dell'abate del monastero di San Pietro in monte, oggi in stato d abbandono, conserva, nascosta dalla vegetazione, un affresco del XVI secolo raffigurante la Madonna con il Bambino.

 

 

 

 

 

 

 

San Valentino Antica chiesa rurale documentata fin dal secolo XIII ad unica navata e facciata a capanna; anticamente dava anche il nome ad una villa che nel 1290 aveva addirittura 7 famiglie. Attualmente è pressoché diruta ma nell'area presbiteriale è ancora percepibile l'ingresso ad un ambiente sotterraneo, forse una cripta, interrato alla fine del secolo XVI per ordine del vescovo di Todi Angelo Cesi.

Cantalupo Su di un colle del monte della Bandita si ergeva nel medioevo il castello di Cantalupo: probabilmente fu distrutto in seguito alle lotte tra guelfi e ghibellini che interessarono nel XIV secolo anche il territorio massetano. Restano oggi, in località Casalini, poderosi avanzi delle sue mura che delimitano un’ampia area entro la quale si possono individuare molte tracce delle sue costruzioni.

Castello di Gagliole  Sulla sommità del Torraccio si ergeva nel medioevo il castello di Gagliole; costruito probabilmente da un certo Galliolo che lo avrebbe edificato nel 1035 dandogli anche il suo nome. Più probabilmente il nome del castello deriva dalla parola longobarda gahagi = recinto, e forse fu costruito tra il VII e l’VIII secolo come avamposto difensivo del Ducato Longobardo di Spoleto. Nel 1290 era di proprietà dei nobili di Massa Raniero e Galgano Bonaccorsi e vi risiedevano 14 famiglie. Inespugnabile roccaforte guelfa fu più volte inutilmente assalito dai ghibellini di Todi finché, nel 1307, acquistato dal comune di Todi fu distrutto e raso al suolo. Oggi, del castello di Gagliole restano soltanto poche rovine soffocate dalla vegetazione, aveva nelle sue pertinenze le chiese di San Bartolomeo e di San Giacomo. Quest’ultima, documentata fin dal secolo XIII, si trovava ai piedi del colle dove sorgeva il castello, lungo l'antico tracciato della via Flaminia. Perfettamente conservata fino alla metà di questo secolo oggi è ridotta ad un cumulo di macerie perché utilizzata, a più riprese, come cava di pietre.

Castello delle Rocchette  Antico castello che si erge ancora ben conservato su di un alto colle, citato per la prima volta in un documento del 1295 come appartenente agli eredi di Zurcio Gottofredi.  Nel 1339 fu restaurato da Antonio di Mariano dei nobili di Castelvecchio. In altri documenti del 1400 viene menzionato come Rocca d’Angiolo di Mattiolo. All’interno del castello la chiesa di Santa Maria della Concezione conserva un interessante ciclo di affreschi del XVI secolo, tra i quali uno raffigurante la Madonna del Soccorso,si tratta di un’iconografia molto originale che rappresnta La Vergine mentre protegge il Bambino dal demonio con un bastone. Il borgo è oggi privato.

Rocca di Bonaccorso  La Rocca di Bonaccorso si crede eretta verso la fine dell’anno 1000 dal capostipite della nobile famiglia massetana dei Bonaccorsi-Fonzi. Si ergeva sul colle antistante l’omonima sorgente e molto probabilmente era un fortilizio adibito al controllo delle vie montane che confluivano all’importante valico di Acqua Canale. Se ne ha conferma da un documento del 1397 nel quale il pontefice Bonifacio IX concedeva a Lello Bonaccorsi dei nobili di Massa la facoltà di riscuotere pedaggi e dazi da tutti coloro che passavano per la zona.

Madonna dell'acqua  Piccola chiesa costruita in prossimità di un corso d'acqua, probabilmente ad ornamento di una maestà, con affresco cinquecentesco raffigurante la Madonna con il Bambino, collocata a sinistra della porta d'ingresso. Restaurata nel 1853 dall'abate Giuseppe Lauri ha l'altare decorato con architetture dipinte che incorniciano l'immagine della Madonna col Bambino ripresa con la stessa iconografia dell'affresco esterno.


Mulino di Santa Maria
 
 Proprio all’uscita della superstrada in direzione Massa Martana, sulla sinistra sono ben visibili i resti di un antico mulino, già appartenente all’abbazia di Santa Maria in Pantano, impostati su una sostruzione di epoca romana, appartenente alla via Flaminia, forse resti di parte di un ponte, ormai distrutto, che varcava il torrente Naia.

Martana Trekking

Il Martani Trekking è un progetto di itinerari escursionistici per valorizzare la catena montuosa che  si estende per circa 35 km da nord verso sud in Umbria centrale. Realizzato agli inizi degli anni 90 ha avuto un recente progetto di risistemazione delle tratte ad opera della comunità montana dei Monti Martani, Serano e Subasio.  Il Martani Trekking si sviluppa lungo la dorsale martana da nord verso sud e viceversa, tra gli abitati di Giano dell’Umbria e Cesi, su due direttrici diverse che si incontrano a Scoppio, punto nodale e baricentro del percorso dove è presente anche un centro escursionistico aperto esclusivamente su prenotazione. Si articola in 9 tappe per uno sviluppo totale di 120 km circa, con un dislivello di poco inferiore ai 5000mt in salita e 4500 in discesa. L’intero percorso non presenta particolari difficoltà. La segnaletica è riconoscibile da bande di vernice bianche e rosse o tabelle verticali con  i contenenti i tempi di percorrenza della tratta di interesse. 

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Trekking di Monte Martano

L’itinerario è fruibile a piedi o in bicicletta e si snoda lungo la dorsale dei Monti Martani. Punto di Partenza preferenziale del percorso è l’area attrezzata di Fonte Canale indicata come punto di interess nella mappa del percorso. Si prosegue in direzione Massa Martana raggiungendo monte Castro dove è possibile osservare i resti di un castelliere ed alcune emergenze botaniche di interesse. Superato Monte Castro si segue la provinciale per 1,4 km fino ad un tornante dove si segue la segnaletica bianca e rossa del CAI sentiero Martani trekking. Si scende al Fosso di Acqua Canale per poi proseguire in direzione Sorgente La Rocca, altra area attrezzata lungo il percorso. Poche centinaia di metri prima della fonte si possono osservare i ruderi di una delle fortificazioni medievali della zona, la rocca di Bonaccorso ed un chilometro oltre durante la stagione invernale si intravedono, fra la vegetazione, i ruderi del castello di Gagliole.

Il percorso prosegue in direzione Sella di Giano e dopo due chilometri si raggiunge il rifugio di Monte Martano. Qui si può osservare la faggeta secolare in Località La Ghiaccia che viene attraversata dalla provinciale che raggiunge Passo di Acqua Canale. Da qui un percorso di 500 metri fra praterie e ginepreti permette di raggiungere il punto di partenza.

 

 

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